Noi amiamo la nostra città campeggiava su una locandina stracciata. Sotto si distingueva lo stemma rosso e aureo del comune. Il resto era perduto.
Gianfranco era bloccato da tempo, col motore infuocato, fuori la chiesa di Capodimonte.
Accanto a lui, Elena era giuliva, intenta col telefonino a postare foto della vacanza dalla quale erano di ritorno.
Lui, per distrarsi da traffico, auto in terza fila, clacson, bestemmie per essersi fermato al rosso, aveva osservato meglio quel poster. Calcolò di averne intravisti altri, arrivato a Napoli.
Intanto Elena cianciava, ma lui non l’ascoltava.
Poi lei cicalava; Gianfranco respirava pesante.
Elena ciarlava... Gianfranco abbassò il finestrino per sfogarsi.
“Jamme!”, intimò alla folla. Ma nulla cambiò.
Concluse lo sfogo con “’sta città ‘e sfaccimma!”.
E la città, stranamente, si fermò.
I motori si spensero, i pedoni si arrestarono.
Un lavavetri e uno in giacca iniziarono a colpire la portiera. Parevano in estasi.
Gianfranco si voltò verso Elena, assorbita dall’iPhone: dall’altro finestrino notò gente fuoriuscire dagli abitacoli, molti si riversavano in strada...
Quello elegante aprì l’auto, l’altro afferrò Gianfranco.
... chi arrivava dalla tangenziale, chi si calava dalla superstrada, chi – masticando ancora la comunione – accorreva dalla chiesa...
“Che facite?” piagnucolò Gianfranco.
... tutti, tanti, troppi, si avventarono. Attesero, follemente compiaciuti.
I più vicini lo bloccarono, altri acciuffarono Elena per i capelli, la misero in ginocchio, verso Gianfranco. Volevano che osservasse.
Infine, gridarono “DEVI!”. E partirono calci, pugni,
lui sputò sangue,
graffi, schiaffi,
tutti abbaiarono “DEVI!”,
tre gli strapparono un braccio,
lui urlò,
un paio di esaltati riuscì a sradicargli una gamba,
sangue dappertutto, “DEVI!”,
dei bambini gli sputavano orgogliosi sulla faccia contusa.
Una vecchia delirante estirpò un orecchio. Lo lanciò al muro, dov’era stato affisso un poster intatto con la scritta Noi amiamo la nostra città - anche tu DEVI.