La targa che indicava: -Camerino degli artisti- era da poco stata riappesa. Le viti che la sostenevano, erano state accuratamente tolte e appoggiate a terra con la punta all’in su. Come ogni sera, alla fine di ogni spettacolo, quando anche l’ultima persona aveva varcato il grande portone in legno che divideva il mondo dei sogni da quello reale, il solito rituale si ripeteva sistematicamente.
Il guardiano che faceva il turno di notte aveva promesso al direttore del teatro che prima o dopo avrebbe stanato il burlone che si divertiva alle sue spalle. Già, perché proprio a lui toccava riappendere la targa al muro e, vite dopo vite fissarla regolarmente ogni benedetta sera. Dopo aver spento tutte le luci in platea e assicuratosi che anche l’ultimo spettatore fosse uscito, il signor Normann, come sempre chiudeva l’enorme portone in legno di noce e rincasava beato e soddisfatto. Anche quella notte, seguì tutta la procedura dalla a alla zeta come aveva fatto da vent’anni a questa parte, ma qualcosa di strano stavolta catturò la sua attenzione.
Allo scoccare della mezzanotte, il faro a occhio di bue si accese inspiegabilmente. Il sipario cominciò a muoversi come sospinto da un’imprevista folata di vento, mentre i faretti soprastanti il palco si accesero in sequenza. Dalla vuota platea si sentì un flebile brusio, qualcuno doveva essere rimasto all’interno del teatro.
Le luci di cortesia poste lungo i corridoi, non facevano intravedere nessuno seduto sulle poltroncine, tuttavia alcune ombre si potevano scorgere sulle pareti laterali. Il sipario era quasi totalmente aperto, e dietro di esso delle sagome (facenti parte della scenografia dell’opera andata in scena la sera stessa), cominciarono impercettibilmente ad avanzare.
Il silenzio fu rotto da alcune note che risuonavano il requiem di Mozart, il suono pareva venire dal sottosuolo e man mano aumentava la sua dinamica, come se dovesse introdurre il primo atto di un’opera. Il signor Normann era ancora lì, impietrito e incredulo da ciò che i suoi occhi vedevano e le sue orecchie sentivano. Voleva vederci chiaro, era convinto che qualcuno aveva architettato tutto ciò per prendersi gioco di lui. «Deve essere quella cariatide di Steve Braun, ce l’ha ancora con me da quel giorno in cui gli soffiai il posto di custode qui al teatro comunale». Pensò tra sé e sé inacidito.
«Adesso gli do una lezione che se la ricorderà per un bel po’». Corse nel suo piccolo ufficio (una sorta di sgabuzzino per le scope), aprì il cassetto della sua sgangherata scrivania e impugnò una vecchia pistola arrugginita, ma ancora funzionante.
«Con questa, gli metterò una paura tale da farsela tra le braghe appena la vede, eh eh». Disse ridacchiando.
Intanto, sul palco il primo atto dell’opera era appena cominciato, con l’unica particolarità che i personaggi erano impersonati solo dai costumi di scena e nient’altro sotto. Normann, non voleva perdere più di tanto il suo tempo, voleva rincasare e stiracchiarsi sul suo divano, magari con una birra in mano davanti a un televisore acceso.
A tutto questo non voleva proprio rinunciare.
Si stava innervosendo; e più pensava al da farsi, più il suo respiro diveniva man mano affannoso e ingovernabile.
Decise di scendere di corsa negli scantinati del teatro, laddove sentiva arrivare la musica, era sicuro di scovarlo proprio lì il vecchio Steve Braun, quella vecchia canaglia.
A due a due, fece tutti i gradini della scala in legno che portava giù alle cantine, un tempo venivano utilizzate come deposito dei costumi da scena, ora erano divenute dei ricettacoli per oggettistica in disuso o quanto di peggio si poteva buttare. La polvere e le ragnatele dominavano in tutto il sottosuolo e in pochi si erano avventurati in quel disordine per depositare qualche pezzo del teatro ormai consumato dal tempo. Normann era la seconda volta che scendeva fin laggiù, la prima fu quando venne assunto quel lontano giorno di vent’anni fa. Se lo ricordava benissimo perché da allora non ebbe più il coraggio di varcare la porta degli scantinati, ma questa volta era diverso, c’era in ballo il suo orgoglio e la sua reputazione. Prese coraggio e con un calcio buttò giù la porta in legno che portava di sotto.
«Adesso mi diverto io vecchia canaglia! Vieni fuori Steve Braun! Se non vuoi che ti riduca un colabrodo».
Il requiem di Mozart continuava incessantemente a suonare, anzi pareva che il volume aumentasse gradualmente.
«Adesso ti vengo a prendere! Ho capito dove sei!».
Normann pareva in preda a un raptus, era così esagitato che girava intorno alla stanza senza saper dove andare.
Pareva un cane mordersi la coda; a un certo punto sparò pure dei colpi di pistola a vuoto; poi si voltò di scatto, avvertiva una presenza nelle immediate vicinanze.
Era totalmente in panico e ormai aveva perso il controllo delle proprie azioni, poi una targa di marmo appesa a una parete catturò la sua attenzione.
Normann si avvicinò con estrema prudenza, soffiò la polvere depositata dal tempo e lesse impietrito l’epitaffio:
“Qui giace B. Normann, fedele custode di questo piccolo ma laborioso sito teatrale, la sua curiosità superò l’immaginazione intrappolandolo in un labirinto senza fine. Una prece. - L’ASSOCIAZIONE DEGLI ATTORI -