«Questa è l'ultima volta. Torna da me, piccolo. Torna da me».
Luca accolse l'abbraccio della madre come una benedizione. Profumo di cannella e shampoo alla pesca.
Tentò di opporre una debole resistenza quando lei lo allontanò, spingendogli con delicatezza le mani sulle spalle. Si guardarono negli occhi, occhi popolati d'ombre e lacrime, poi la pendola in salotto batté l'una. Dietro il debole eco dell'orologio, udì suo padre piangere in cucina.
«È ora. Vai, e sii coraggioso. Non ti prenderà», disse sua madre, aprendo la porta d’ingresso senza guardarlo.
Sciabole di luce s’insinuarono in casa e rimbalzarono sul pavimento, accecandolo.
Luca mosse due passi esitanti oltre la soglia.
Era fuori. Nel sole.
La lunga strada che tagliava il paese di Villasanto era una lingua rovente di canicola. Pozzanghere di arsura, allucinazione liquide, si aprivano sull’asfalto come bocche di catrame.
Luca si guardò intorno. Altri usci si schiudevano e mamme coi volti distorti dal dolore lasciavano uscire i figli nel solleone del primo pomeriggio.
Sole della Sardegna, di ferragosto, caldo come le braci dell’inferno.
Pino, il figlio degli Arras, cominciò a contorcersi con la bava alla bocca, artigliando la gonna della madre. La donna lo spinse in strada, richiuse la porta maledicendo se stessa e Villasanto, il petto scosso da singhiozzi pietosi.
Sei anni, Pino. La prima volta che prendeva parte al Rito. Per Luca, dodici anni, sarebbe stata l’ultima.
Se non mi faccio prendere, pensò.
Ebbe a malapena il tempo di formulare il pensiero, poi le campane di Villasanto rintoccarono come una condanna.
La caccia aveva inizio.
Mama ’e su Sole spuntò da dietro un condominio, arrancando sull’asfalto. Era la sesta volta che Luca la vedeva, ma le sensazioni erano sempre le stesse, violentissime.
Orrore. Fascinazione.
Alta almeno tre metri, la pelle di cartapesta, gli occhi bianchi e i capelli di tenebra. L’andatura di un gorilla macilento, le braccia rinsecchite che sfioravano terra, il lamento mortifero e incandescente che le usciva dalla bocca slabbrata, curvando l’aria.
Un incubo del folclore. Mama ’e su Sole, spauracchio delle mamme sarde per non far uscire in strada i bambini nelle ore più calde del giorno.
Era reale, però. Un patto scellerato, secolare, il sacrificio di un bambino all’anno in cambio di temperature più favorevoli. Per i campi, per i raccolti.
Luca scattò sotto un minuscolo balcone, all’ombra. Lì, lei non poteva prenderlo.
Rumore di piedini in fuga, respiri affannati.
Mama ’e su Sole urlò la sua fame al cielo, calò il silenzio.
Luca si sporse dal nascondiglio e vide Pino pietrificato in mezzo alla strada, un pollice in bocca.
Avrebbe voluto chiamarlo. Dirgli di nascondersi con lui, all’ombra, al fresco. Ma non poteva.
Mors tua vita mea, così diceva sempre suo padre.
Chiuse gli occhi e attese.
Mentre le strade si riempivano degli strilli di Pino e dell’odore dolciastro di carne carbonizzata, Luca pensò soltanto al profumo di sua madre, un misto di cannella e shampoo alla pesca.