Il silenzio della notte si trasformò improvvisamente in una cacofonia di
urla, seguita da un nervoso andirivieni per tutta la casa.
Il fratellino voleva nascere.
La domestica procurò a mio padre acqua calda e biancheria pulita, mentre lui
preparava i suoi ferri da medico. “Torna a letto, e non muoverti se non te
lo dico io”, mi aveva detto, categorico come al solito, ma insolitamente
emozionato. Chiusi la porta della mia camera, e mi nascosi sotto le coperte,
cercando di sfuggire agli squarcianti lamenti che provenivano dalla stanza
in fondo al corridoio.
Era inutile. Il dolore di mia madre riempiva l’aria della casa, copriva
tutto il resto, lo potevo sentire dentro il cervello.
Le urla raggiunsero per un attimo il parossismo, sembravano adesso provenire
da più persone. Seguì un incredibile trambusto, voci confuse, forti colpi
alle pareti.
Poi, di colpo, cessò tutto.
Ogni cosa parve spegnersi, a parte l’assordante battito del mio cuore.
Tremavo, seppure sotto le coperte stessi soffocando. Trattenni il fiato per
diversi istanti, con i sensi all’erta. Poi, decisi che valeva la pena
disobbedire.
Mi alzai e aprii la porta. Il corridoio era silenzioso, illuminato dalla
fioca luce delle lampade a gas. Mio padre era seduto a terra, accasciato
contro la porta della camera da letto, ricoperto di sangue dalla testa ai
piedi. Dalle ferite alle mani e al volto, capii che non era solo quello
della mamma. Aveva quell’espressione, la stessa che gli animava il
volto con ombre inquietanti quando lo vedevo uscire, dopo nottate di lavoro,
dal suo inaccessibile laboratorio nello scantinato di casa.
“Come sta la mamma?”, chiesi, sgomento. “Dov’è il mio fratellino?”.
Come destato da un sogno, mio padre portò il suo sguardo assente e folle su
di me.
Dalla camera da letto, provenne uno spaventoso vagito.
“Sta mangiando”, rispose.