Nella calle San Michele s’apre un portone nella cui corte vive un artigiano.
Di lui si racconta sia stato a Parigi, nelle fucine di Versailles,
incaricato dallo stesso re di forgiare specchi e vetrate.
Lo chiamano il Francese e la sua bottega, un tempo, lavorava giorno e notte.
A Venezia non esiste casa signorile che non abbia vetrata o servizio di
bicchieri forgiati nella sua fucina.
Nel laboratorio per un periodo si alternarono apprendisti, artisti avidi di
conoscere il segreto del vetro. Trascorrevano le ore con il vecchio, lo
guardavano lavorare, lo aiutavano, spiavano ma nulla. Nessuno riusciva a
capire quale fosse il mistero che rendeva le sue vetrate così meravigliose.
Il vetro, attraversato dalla luce, mutava la sua natura povera e si faceva
prezioso. L’azzurro diventava zaffiro, il giallo oro, il rosso rubino, il
verde smeraldo, e le figure sembravano prendere vita, respirare, gioire
nella danza. Ed erano questi i soggetti delle sue vetrate. Rifiutava senza
appello ogni commissione che richiedesse immagini con guerrieri o martiri.
Rifuggiva dal Cristo in croce, rifuggiva dal dolore, dalla morte.
E così trascorrevano gli anni, e il Francese diventava sempre più vecchio,
vecchissimo. Nessuno più ricordava di averlo visto giovane, e così di lui si
cominciò a raccontare che conoscesse il segreto dell’immortalità.