Il rumore delle ossa sotto la macina per granaglie... Riesco ancora a sentirlo. Quanto tempo è passato? Un anno?
Nessuno avrebbe dovuto sapere. Tra trent’anni, forse, colto dal rimorso o
smanioso di condividere il mio piano perfetto, avrei confessato
Magari al maresciallo Bandelli – quel cane che sbavava dietro mia moglie da
sempre – snocciolando dettagli su com’era stato soffocarla nel sonno e
trascinarne il corpo magro giù al mulino. Il suono della macina che divorava
quella vita dedita ad ammorbare da troppo tempo la mia. Il mangime per
maiali che si colorava di rosso.
Mi sarei soffermato sulle abitudini disgustose di Aja, per giustificare il
mio gesto. La sua passione per i luoghi abbandonati della Val Pellice, le
notti in cantina, dalla quale si levavano miasmi malsani e un terrificante
salmodiare. L’odio che mi scaricava addosso, additandomi come “l'inutile
contadino che l’aveva ingannata”.
Ieri sera, la cena. Organizzata per stare con gli amici che non avevano mai
visto di buon occhio la straniera, riportata in Italia dalla guerra in
Africa. Gli stessi che, come buona parte del paese, si toccavano o facevano
le corna contro il malocchio quando la scorgevano arrancare con quella sua
andatura zoppicante per i vicoli umidi.
Un’ordalia di carne alla brace. Tagli freschi e sugosi ottenuti macellando i
miei maiali, quelli nutriti col prelibato mangime prodotto al mulino.
Brindammo con gioia alla misteriosa scomparsa di Aja.
Quando la combriccola si accomiatò, satolla e ubriaca, pensai che si
sarebbero ricordati a lungo di quella cena.
Solo io, invece, ricordo il silenzio dell'alba seguente. Il doloroso istante
in cui le grida lo frantumarono, squassando il paese.
Biascicanti, urlanti, vendicativi figli della strega, rinati vomitando
quella carne, infetta della sua carne.
Portano il suo odio.
Salgono la collina, circondano la casa.
Unghie spezzate alla porta.
Arrivano.