"Lunga ed impervia è la strada che dall'Inferno si snoda verso la luce."
Percorrevo il cammino verso di Lei, circondato da poveri illusi che confidarono nella sua clemenza.
Il primo, una magrezza che potevo scorgere il sangue scorrergli nelle vene, pelle tirata sulle ossa come cellofan, divorato da un perpetuo raptus famelico che lo spingeva a consumare le proprie carni.
Alla mia sinistra, bel sorriso ebete stampato in faccia, un altro: due donne seminude gli uscivano dai fianchi, intente a solleticarne il piacere con una mano, mentre l'altra ne esplorava il cranio, manipolandolo.
C'era quello che girava per la gabbia come un ossesso, denti digrignati e bulbi stritolati nelle orbite, le sbarre suonavano a colpi di fronte.
Prossimo alla Luce, le penombre liberavano le mie visioni: vedevo bene l'uomo, o meglio la poltiglia, che gorgheggiava sul pavimento della cella, palpebre chiuse dal dormire o, forse, dal troppo grasso accumulato sul volto informe.
Venni poi attirato dalle risate di un gruppo.
Demoni bambini giocavano lanciando in aria una testa, sino a rasentare il
soffitto: ghigno beffardo e sopracciglia ad incorniciare lo sguardo fisso su
di me... ressi la sfida finché non lo superai.
Per colpa del pallone gonfiato quasi inciampai su uno strano essere, le
fattezze di un ansimante sacco satollo di tutto.
La pietra al suo fianco, colpita dalla Luce, regalava uno spettacolo di
riverberi: aprì una ferita nel petto dove, guardingo, la ripose.
La Luce era accecante, ed un vecchio storpio spostava freneticamente uno
specchio agli angoli bui della cella: riflessa, una creatura di rara
bellezza.
Col tragitto da concludere, lo lasciai a dimenare i moncherini sanguinanti
contro il vetro frantumato.
Eccomi al Suo cospetto, protetto dalle dita semichiuse davanti gli occhi: travolto.
Ora rimbalzo in aria, per il divertimento di qualche figlio delle tenebre.