Quel pomeriggio
fummo tutti convocati d'urgenza con un preavviso di sole due ore. Fui
accompagnata in una camera dei sotterranei della facoltà, dove su di un
tavolo giaceva il corpo nudo, esanime di un uomo adulto affogato solo poche
ore prima nel vicino lago. Non ho mai saputo, né voluto sapere se
l'annegamento fosse stato realmente accidentale. Il dottore teneva in mano
due grosse barre metalliche, elettrodi collegati a una grande pila già
carica. Ne fissò uno alla nuca del cadavere e gli infilò l'altro in
profondità nel retto, poi azionò la pila. Nello stupore dei presenti la
schiena del cadavere s'inarcò improvvisamente, le palpebre sbatterono
freneticamente e una gamba scalciò in aria, poi più nulla.
Il pubblico cominciava già a mormorare, quando il dottore azionò nuovamente
la pila. Inizialmente si diffuse solo una nauseante puzza di feci e carne
bruciata, poi accadde l'impensabile, ciò che tutti avevano sperato e al
tempo stesso temuto di vedere. Il cadavere fu prima colto da violente
convulsioni, per poi cadere dal tavolo vomitando acqua sul pavimento e
infine rialzarsi in piedi da solo emettendo un'agghiacciante urlo di dolore.
Gli astanti furono colti dal panico e cominciarono a scappare urlando, ma
non io, rimasi seduta fissandolo mentre imprecando spezzava il collo del
dottore come fosse un fuscello.
Il cadavere cadde allora a terra e perdendo sangue da ogni orifizio cominciò
a trascinarsi verso di me, fino a raggiungermi. Fissandomi con i suoi occhi
velati di bianco, da cui piangeva lacrime di sangue, implorò un mio atto di
pietà e io glielo concessi, afferrai lo stiletto sul tavolo del dottore e
glielo sprofondai nel cranio attraverso l'occhio sinistro, avvertendo il
fluido elettrico che lo abbandonava.
Quel giorno fui testimone non di un miracolo, ma solo del delirio di
onnipotenza dell'uomo.
25 luglio 1816
Mary S.