Fine luglio del ‘57.
Al volante della sua Chevrolet Bel Air nera, guardava verso la fine del tunnel aspettando il segnale di via. Odiava questo nuovo genere di sfide. Anche se per loro il tempo sembrava non passare, lui non aveva più i riflessi di una volta. Ma non poteva tirarsi indietro. Non avrebbe permesso a quel novellino presuntuoso di ridere di lui. Piuttosto sarebbe bruciato lì, nell’abitacolo, mentre andava a schiantarsi sulla parete della galleria e anche la Bel Air diventava una palla di fuoco. Aveva comunque una sua strategia. Si sarebbe tenuto basso, la testa al riparo del cruscotto, portando la Bel Air tutta sulla destra. Al contrario di quanto quasi sicuramente avrebbe fatto il suo avversario, avrebbe mantenuto i fari spenti fino all’ultimo istante, lasciandolo lampeggiare all’impazzata e facendogli credere di essere paralizzato dalla paura. Poi, all’improvviso, una volta arrivato a qualche metro da lui, avrebbe tirato su gli abbaglianti in modo da non lasciargli scampo.
Con un po’ di fortuna ce l’avrebbe fatta. Il bamboccio se la sarebbe cavata solo con una bella lezione e qualche grave ustione, ma se la luce accecante avesse finito per ridurlo in cenere, di certo non avrebbe pianto per lui. Disprezzava questi bulletti della nuova generazione che sfidavano i vecchi per farsi velocemente una reputazione. Non sapevano cos’era il rispetto. Sventolarono la bandiera. Il segnale di via. Chiuse un istante gli occhi e s’immaginò da qualche parte in mezzo ai boschi della sua Transilvania. Quelli erano tempi. Poi ingranò la prima e partì con uno stridio di gomme che risuonò per tutta la galleria.