Dopo alcuni sinistri borbottii, l'auto si fermò.
Avvilito, l'uomo in giacca e cravatta, provò invano a rimetterla in moto,
poi uscì e si guardò intorno spaesato. La campagna desolata lo circondava,
mais ingiallito si succedeva a terra arida. Un filare di meli, che partiva
poco più avanti, sulla destra della strada sterrata che stava percorrendo,
conduceva all'unico edificio visibile, una cascina in rovina, disabitata.
Si era perso. Preso il cellulare, fece per chiamare, ma lo schermo rimaneva
nero. Irritato provò a accenderlo: nulla. Sotto il sole cocente, si
incamminò verso l'edificio. Più si avvicinava più si accorgeva della
fatiscenza. Riconobbe di trovarsi nella tipica situazione dei film horror.
Dandosi dell'idiota accantonò il pensiero. Arrivato nel cortile, chiamò
qualcuno.
Per niente sorpreso di non ricevere risposta, entrò nell'edificio, sperando
di trovare qualcosa, per dissetarsi e pensare con maggiore lucidità. Osservò
il locale in cui era penetrato: un tavolo al centro, appesi alle pareti da
un lato un vasto assortimento di coltelli, dall'altro, uncinati a ganci
pendevano file di salami, alcuni ancora freschi e lucidi. Esultò: quel luogo
non era abbandonato, ma era utilizzato come salumificio.
In fondo alla stanza vide la porta di una cella frigorifera. Augurandosi di
trovare qualcosa da bere, si avvicinò e l'aprì. Due teste umane lo fissavano
con gli occhi sbarrati, ancora imbrattate di sangue rappreso. Più in basso
pezzi di carne umana. Un conato lo assalì. All'improvviso un rumore alle
spalle lo fece voltare. Una donna dalla pelle grigiastra gli si avventò
contro. Riuscì a respingerla e corse fuori all'impazzata, senza voltarsi.
Un auto della polizia gli stava venendo incontro. Si sbracciò, gridando. La
volante accelerò e lo investì in pieno. Il conducente scese a esaminare il
corpo, poi si rivolse alla donna giunta dal salumificio: «Carne fresca,
amore mio, proprio come piace a te».