La casa era circolare, d’un tempo remoto; i lastroni di pietra antica, diligenti, sopportavano da tempo immemore il peso degli anni. Li riscaldava un largo camino da cui si alzava, lento, il profumo del legno di noce e del ginepro bruciato che con il suo effluvio aiutava a tenerli lontani, quelli che abitavano fuori. Erano quelle le notti pericolose, le notti di quiete, dove potevi sentire distinto il brivido freddo del loro passaggio, al di là degli spessi muri. Sulla porta, inchiodata, una rosa ormai secca, eppur tanto preziosa, a benedire quell’uscio. E quella sera era come poche... tutto era immobile ed il fuoco, d’un tratto, tremolava, sospinto da qualche soffio sottile. Aveva chiuso le ante, fuori non voleva vedere; c’erano occhi nella nebbia, bramosi. Era di quelle notti da passare pazienti a recitare gli antichi versetti; ma forse quella volta non sarebbe bastato.
Erano troppi i mezzi al loro servizio, troppe le forze oscure con cui sollevavano profonde paure, che mai più avrebbero riposato. Sulla pietra del focolare le rune andavano formandosi... e lui aspettava, stringendo il suo antico libro a recitar salmi. Ma forse quella notte non avrebbe tenuto l’impatto. Era ormai vecchio e meno potente e loro brulicavano come la rugiada mattutina sull’erba alta della collina, esseri maledetti per comando divino; desideravano entrare, avidi di carne e di effluvi vitali. Il fuoco d’un tratto morì, l’oscurità lo attorniava. Il vecchio cominciò a vedere spirali di fumo e dalla legna ormai spenta vide prendere forma immonde creature; vide sollevarsi tizzoni ancora ardenti a formar quegli occhi rossi come rubini, occhi del male per un corpo di cenere e fumo. Nella casa antica all’odor di ginepro s’era mischiato il puzzo del popolo delle colline.