Arsura

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

Non ho sete.
Ho una sensazione di polvere tra le dita delle mani e più in su, nell’incavo del gomito.
Se muovo il braccio sento come un’erosione.
I piedi e le gambe sono sotto le coperte. Ho paura di cercarli.
Non mi alzo dal letto da molto, non orino e non caco; ma la grande sofferenza che mi porto dentro mi insegna la lezione più dura: vivo!
”BEVETE! Soprattutto gli anziani, bevano per evitare la disidratazione!”
Era il monito che usciva dagli altoparlanti del camion del comune che faceva la ronda per il paese.
E’ ormai due giorni che non lo sento più. Che mi lascia dormire, finalmente.
Il furgone si è schiantato sotto il mio balcone, ha continuato per due lunghissimi giorni a ripetere “BEVETE!”, finchè non ha esaurito la batteria.
Ma io non ho sete.

Fatico a guardare in giro: mi fanno male gli occhi, sento l’aria ruggire contro la cornea.
Ma ora vedo una persona volare.
Brilla nella sua armatura da centurione e la sua chioma ricciuta è spettinata da tanto che sbatte le ali. Nella mano destra regge una lunga spada, talmente fulgida che sembra bruciare.
Si accosta alla mia finestra e l’attraversa, senza nemmeno aprirla.
“Sono Michele.” dice “Hai ancora sete?”
Faccio per dire no, cercando lo sforzo di una lacrima.
Lui prende un lembo della coperta e me la strappa di dosso.
Vedo il mio vecchio fisico spargersi come polvere nella stanza e, sotto queste spoglie, il mio corpo nudo ora dodicenne si scrolla di dosso le fatiche di una vita.
”Va’! Tua moglie ti aspetta di sotto.”
Ero stato un vecchio, incallito bevitore; avevo speso al collo della bottiglia gli affetti.
Eccomi di nuovo innocente!
E mia moglie, bambina, è nel cortile, pronta a portarmi lontano dal buio del bicchiere.

Andrea Rizzi