Bioevoluzione

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2012 - edizione 11

C'è qualcosa che si agita all’interno della cassapanca, di fianco alla scrivania. Rapidi tonfi ne percuotono la base in frassino, come grasse dita che tamburellano sul coperchio di una tomba.
Carlotta, rannicchiata in poltrona con un libro, scosta i pensieri e gli occhi dalle pagine. Tiene il respiro. Forse, ha immaginato tutto.
Ma ecco che i suoni riprendono, cauti. Uno. Un altro. Una lunga pausa.
Poi, all’improvviso, rumori raschianti che paiono risate di vecchie.
Carlotta, furente, si butta sulle piastrelle gelide, il libro richiuso con uno schiaffo. Le ombre della stanza vengono inghiottite dall’appetito ingordo del lampadario appena acceso.
La giovane, gli occhi lucidi e nerissimi come quelli della mamma, apre il baule. Dentro, a nascondersi in un bozzolo, un ragno tanto piccolo da sembrare un cagnolino. Quello stupido cerca di non muoversi, si acquatta in un angolo, ma non riesce a non tremare.
Lei lo fissa con odio prima di fiondarsi giù per le scale.

– Mamma! – non bussa neanche, spalanca la porta. – Mamma!
La stanza è un groviglio umido di secrezioni condensate. Fantasmi di ragnatele, pallidi e lievi, stanno avvinghiati alle pareti e al mobilio pregiato. Fluttuano nel silenzio, mani di scheletri che accarezzano il vuoto.
Dal pertugio di un solido tunnel, otto zampe nodose, enormi, si fanno strada verso l’esterno.
– Mami, quel cretino di Giacomo si è nascosto ancora in camera mia!
La mamma, splendida Theraphosa di due tonnellate, schizza fuori dalla camera. I cheliceri, fregandosi l’uno con l’altro, producono squittii impazienti e minacciosi. Scompare nella tromba delle scale, pestando forte sui gradini.
Carlotta è contenta. Il suo fratellino sarà punito.
I suoi otto occhi, lucidi e nerissimi come quelli della mamma, ammirano la carcassa consumata di papà, appesa al soffitto.
Ancora poco tempo, e ci sarà bisogno di altro cibo.

Alessandro Cal