C'è qualcosa che si agita all’interno della cassapanca, di fianco alla
scrivania. Rapidi tonfi ne percuotono la base in frassino, come grasse dita
che tamburellano sul coperchio di una tomba.
Carlotta, rannicchiata in poltrona con un libro, scosta i pensieri e gli
occhi dalle pagine. Tiene il respiro. Forse, ha immaginato tutto.
Ma ecco che i suoni riprendono, cauti. Uno. Un altro. Una lunga pausa.
Poi, all’improvviso, rumori raschianti che paiono risate di vecchie.
Carlotta, furente, si butta sulle piastrelle gelide, il libro richiuso con
uno schiaffo. Le ombre della stanza vengono inghiottite dall’appetito
ingordo del lampadario appena acceso.
La giovane, gli occhi lucidi e nerissimi come quelli della mamma, apre il
baule. Dentro, a nascondersi in un bozzolo, un ragno tanto piccolo da
sembrare un cagnolino. Quello stupido cerca di non muoversi, si acquatta in
un angolo, ma non riesce a non tremare.
Lei lo fissa con odio prima di fiondarsi giù per le scale.
– Mamma! – non bussa neanche, spalanca la porta. – Mamma!
La stanza è un groviglio umido di secrezioni condensate. Fantasmi di
ragnatele, pallidi e lievi, stanno avvinghiati alle pareti e al mobilio
pregiato. Fluttuano nel silenzio, mani di scheletri che accarezzano il
vuoto.
Dal pertugio di un solido tunnel, otto zampe nodose, enormi, si fanno strada
verso l’esterno.
– Mami, quel cretino di Giacomo si è nascosto ancora in camera mia!
La mamma, splendida Theraphosa di due tonnellate, schizza fuori dalla
camera. I cheliceri, fregandosi l’uno con l’altro, producono squittii
impazienti e minacciosi. Scompare nella tromba delle scale, pestando forte
sui gradini.
Carlotta è contenta. Il suo fratellino sarà punito.
I suoi otto occhi, lucidi e nerissimi come quelli della mamma, ammirano la
carcassa consumata di papà, appesa al soffitto.
Ancora poco tempo, e ci sarà bisogno di altro cibo.