– Mamma, Papà...
Aprì gli occhi, nel buio della camera da letto.
– Mamma, Papà...
Non era un sogno. Sentì nuovamente la voce, e mentre veniva sopraffatto da
affanno e tremore riaffiorarono i ricordi. Suo figlio che si affaccia alla
porta della camera, il pigiama azzurro e l'orsacchiotto sotto il braccio.
– Posso dormire con voi? Ho fatto un brutto sogno.
– Mamma, Papà...
L’immagine eterea e luminescente gli si materializzò di fronte, sospesa a
mezz'aria.
Glabro, gli occhi infossati, aveva addosso il pigiama bianco dell'ospedale.
La cannula per la chemioterapia infilata nel braccio. Si voltò di lato e
indicò la porta.
– No!
Cercò di svegliare sua moglie, ma lei non era nel letto. Sentì uno schianto
provenire dal bagno. Accese la luce, mentre lo spettro si dissolveva in una
nebbia rarefatta, continuando a indicare fuori dalla camera. Le sue labbra
si aprivano e si chiudevano alternativamente, senza emettere alcun suono,
cercando di pronunciare la più riconoscibile tra le parole: “Mamma”.
Scese dal letto. Tremante e in equilibrio precario corse in direzione del
bagno. Inciampò e cadde. Sollevò la testa. Lo sgabello rovesciato, una pozza
di urina, i piedi bianchi sollevati dal pavimento. Era lei, la testa china e
una fune intorno al collo.
Una fitta lancinante gli trafisse cuore.
– Mamma, Papà...
Aprì gli occhi. Suo figlio, ai piedi del letto.
– Ho fatto un brutto sogno, posso dormire con voi?
– Ma certo, vieni. – rispose il padre.
Il bambino salì nel letto. A gattoni si portò tra loro due. Abbracciò
l'orsacchiotto e si rannicchiò, chiudendo gli occhi. Il padre gli tirò su la
coperta, fino a coprirlo quasi del tutto. Gli accarezzò i capelli e gli
passò la mano sulla fronte. Era caldo, forse aveva la febbre.
Sua moglie dormiva, non si era accorta di niente.
– Dormi, piccolino. – gli sussurrò all'orecchio.
“La solita influenza”, pensò.