Donna al volante

Eluana Barbieri, così si chiamava la donna.
Guidava lei quella sera. Assieme al marito Ottavio, un noto avvocato della città, si stava recando a casa della figlia, per festeggiare il compleanno del nipotino.
Non ci arrivò mai. A causa di un malore, o dell’imperizia, imboccò una curva troppo velocemente. L’asfalto bagnato fece il resto.
La macchina dei coniugi Barbieri si trasformò in un proiettile impazzito, sfondò il guardrail e finì nella scarpata sottostante.
Quando l’ispettore Oreste Bignarelli arrivò sul luogo dello schianto, i vigili del fuoco, intabarrati nei loro giubbotti catarifrangenti, stavano fumando e bevendo caffè.
“Qual è la situazione?” chiese Bignarelli.
Dal gruppetto di pompieri si staccò un uomo brizzolato, forse il caposquadra. “Abbiamo tirato fuori la donna, è viva ma conciata molto male. Per l’uomo non c’è stato niente da fare. Non riusciamo neanche a estrarlo. Guardi che non è un bello spettacolo,” aggiunse, vedendo che l’ispettore puntava deciso verso il grumo di lamiere che qualche ora prima era una Mercedes.
Troppo tardi. Con un conato che riecheggiò nell’aria immobile della notte, Bignarelli si vomitò la cena sulle scarpe.

 

***

 

La donna sembrava una mummia. Le bende lasciavano scoperti solo una porzione di faccia e un occhio chiuso. Le apparecchiature ai lati del letto mandavano un ritmico cicalio.
Bignarelli, dall’altra parte del vetro, guardò quel piccolo corpo straziato e iniziò a tremare. Non per la commozione, ma per l’astinenza. Doveva bere qualcosa, subito.
Si girò e quasi travolse un dottore in camice bianco.
“Mi scusi,” disse Bignarelli.
Il dottore aveva un pomo d’Adamo sporgente che lo faceva sembrare un ragazzino: “Lei è della polizia?”
“Sì.” Mostrò il tesserino. “Come sta la paziente?”
“Polmone destro bucato. Diverse costole rotte. Traumi maxillo-facciali. Una lesione grave all’occhio destro, forse lo perderà.” Il dottorino snocciolò le informazioni con la freddezza di un computer. “Al momento la teniamo in coma farmacologico per evitare complicazioni.”
Bignarelli si appoggiò al muro. “Se la caverà?”
“È difficile dirlo, le prossime ore sono le più critiche.” Il dottorino squadrò il poliziotto con occhio clinico e domandò: “Si sente bene?”
No, pensò Bignarelli. Ho la testa che mi gira, il cuore che va a mille all’ora e una sete fottuta. “Tutto a posto. La saluto,” disse invece, e barcollò verso il bar dell’ospedale.

 

Quando rientrò in centrale aveva quattro birre in corpo e si sentiva meglio. La barista lo aveva servito con malcelato disgusto, ma non gli importava. C’era abituato.
Notò subito il bigliettino sulla sua scrivania. Diceva Vieni nel mio ufficio, devo parlarti. La firma era del commissario Spadavecchia. Guai in vista.
La porta dell’ufficio era aperta. Spadavecchia stava leggendo alcuni fascicoli. “Avanti,” disse, senza nemmeno alzare la testa.
“Cosa deve dirmi, commissario?”
“Sei fuori, Oreste.” Lo disse così, senza giri di parole. “Ho parlato con i superiori e sono riuscito a farti assegnare la pensione anticipata.”
“Perché?” chiese Bignarelli. Ma conosceva già la risposta.
“Perché sei solo una fonte d’imbarazzo per il dipartimento. Guardati, Cristo Santo. Hai la stessa camicia da tre giorni e dall’odore direi che ti sei appena fatto un goccio.” Spadavecchia alzò la testa e lo guardò negli occhi. “Sei un buon poliziotto, anzi, eri un buon poliziotto. Avevi i mezzi per puntare in alto. Poi Marisa ti ha lasciato e ti sei fottuto il cervello con l’alcol.”
“Posso ripulirmi...”
“Sono già passati tre anni, ti ho coperto fin troppo. Mi dispiace.” Sembrava sincero.
Bignarelli non insistette. In fondo, non gliene fregava niente.
“Posso andare?”
“Puoi andare,” sospirò Spadavecchia, e tornò a concentrarsi sulle scartoffie che ingombravano la scrivania.

 

***

 

In mutande, stravaccato sul divano, guardava una puntata di Zelig in compagnia di una cassetta di Heineken.
Lo schermo mostrava persone che ridevano e applaudivano. Bignarelli li osservava attraverso una patina annebbiata, senza capire. Le loro voci erano un brusio indistinto. Finì la bottiglia con una lunga sorsata e si allungò per prenderne un’altra.
Quel pomeriggio aveva dato le dimissioni e svuotato l’ufficio. Il caso di cui si stava occupando sarebbe stato affidato a un altro collega, qualcuno più giovane e motivato. Capirai che caso, pensò amaro. Un incidente d’auto come tanti altri.
“Questo è quel che succede a lasciar guidare le donne,” biascicò all’indirizzo del televisore. C’era anche un proverbio che lo diceva. Com’è che faceva? Donna al volante... come cazzo continuava?
Però era strano. Quando marito e moglie viaggiano in auto, di solito è lui a guidare. Chiamatelo pure retaggio maschilista, ma è così. Certo, esistono le eccezioni: il marito può avere problemi alle gambe o essere senza patente, ma non era il caso dell’avvocato Barbieri.
L’idea che ronzava nella testa di Bignarelli era più fastidiosa di un dopo sbornia.
Ondeggiò fino al telefono e, nonostante i tasti gli ballassero davanti agli occhi, compose il numero dell’ospedale. Il centralino lo reindirizzò al reparto di terapia intensiva.
“Pronto?” disse una voce femminile.
“Sono l’ispettore Bignarelli. Richiamatemi quando la signora Barbieri esce dal coma. È importante.”
“È fortunato, ispettore. La signora si è appena svegliata.”

 

***

 

Dovette quasi prendere a schiaffi la caporeparto per riuscire a entrare nella stanza di Eluana Barbieri. Da solo.
Si sedette su una minuscola sedia. La donna, cosciente, era ancora avvolta dalle bende, ma adesso aveva la bocca libera. Gli puntò contro il suo unico occhio marrone.
“Buonasera, signora.” Bignarelli sussurrò senza volerlo, come quando ci si trova al capezzale di un moribondo. “Sono un ispettore e sono qui per parlare dell’incidente...”
Eluana Barbieri non disse nulla.
Nella sua pur mediocre carriera Bignarelli aveva avuto a che fare con delinquenti di ogni risma, eppure quella signora minuta, sofferente, che si limitava a fissarlo con il suo unico occhio, lo metteva a disagio. Fece un ampio respiro e proseguì: “Io... credo che lei abbia ucciso suo marito prima di avere l’incidente.”
L’occhio marrone si spalancò impercettibilmente. Fu un attimo, ma bastò a Bignarelli per capire di avere indovinato.
“Lei ha litigato con suo marito quando eravate in casa vostra,” la incalzò, “forse c’era di mezzo un’altra donna, e lui ha minacciato il divorzio. Un affronto troppo grande per una donna come lei, che ha consacrato la propria vita alla famiglia. Così l’ha ucciso. Un colpo alla testa con un oggetto contundente, magari?”
Parlava in fretta, perché non avrebbe avuto il coraggio di ripetere quel discorso una seconda volta.
“Cosa fare del corpo? Seppellirlo, tagliarlo a pezzi? Il rischio era troppo alto. Allora si è ricordata che quella sera c’era la festa di compleanno di vostro nipote. Ha caricato suo marito sul sedile passeggero, ha guidato fino a quella brutta curva ed è uscita di strada volontariamente. Il corpo di suo marito era troppo danneggiato dallo schianto per creare sospetti.”
Eluana Barbieri chiuse l’occhio. Una lacrima solitaria le scavò una guancia.
Poi parlò. A fatica, con una voce stridente che fece venire i brividi a Bignarelli, ma parlò: “Lei... non ha... prove.”
“È vero, e non intendo cercarle. Vede, da questo pomeriggio io non sono più ispettore. Volevo solo ringraziarla. Lei mi ha dato un’idea. Le auguro una pronta guarigione.”
Si alzò e uscì dalla stanza fischiettando, ignorando l’occhiata truce che gli rivolgeva la caporeparto. Ora che non era più un poliziotto, aveva tanto tempo libero. E non gli sarebbe dispiaciuto fare un bel viaggetto in auto con la sua ex moglie.

Matteo Bigarella