Il suono della mia voce

“Quando è giunta la notte, il mondo è buio e la Luna è l’unica luce che vediamo. No, io non avrò paura. Non avrò paura almeno fin quando starai accanto a me...”
Stand by me- John Lennon

 

Camminavo per una cittadina deserta, non c’era segno di vita, il vento gelido soffiava forte da nord e sopra di me c’era un cielo terso, stellato. Migliaia di stelle, la Via Lattea, Giove che brillava sopra le colline, il freddo che mi penetrava fino alle ossa ma non me ne curavo, avevo l’impressione che se solo avessi allungato un braccio avrei potuto toccare la volta celeste.
Era una notte senza Luna, non v’era traccia di luci artificiali eppure tutt’attorno a me c’era un’inspiegabile luminescenza diffusa che creava un’atmosfera irreale, quasi onirica. Ricordo che vidi con stupore la mia ombra proiettata su di un muro e poi avvertii un fruscio, senza capire da che parte provenisse.
Ebbi un sussulto e mi guardai attorno, poi vidi proprio di fronte a me, a non più di una cinquantina di metri, una creatura alata che piombò a terra con un braccio umano ancora sanguinante tra le fauci.
Devo confessare che non mi turbò tanto la vista di quel braccio mozzato e strappato a morsi, quanto piuttosto il pensiero che quel braccio poteva essere il mio.
Salii di corsa sulla mia auto e mi chiusi dentro, cercai di accendere il motore, ma le mani mi tremavano tanto che non ci riuscii. Quella creatura rivolse i suoi enormi padiglioni auricolari verso di me, ma dopo pochi istanti si levò in aria e se ne andò.
Quella notte fui molto fortunato, quel vorace demone alato era già sazio e soprattutto solo, quando si accorse della mia presenza.
In ogni caso non avevo intenzione di sfidare la sorte, decisi di abbandonare il mio rifugio e dirigermi con l’auto verso un altro distante una decina di chilometri. Un viaggio rischioso, ma mai quanto rimanere nel posto in cui la creatura mi aveva visto.
Fu proprio in quella notte, ovviamente ben sveglio, senza aver ancora smaltito l’adrenalina generata da quell’imprevisto incontro ravvicinato, che elaborai quello che doveva essere il mio piano finale.

Mi ci volle diverso tempo per metterlo a punto. Fino ad allora non avevo fatto altro che cercare di sopravvivere e andare in cerca di miei simili, ma ormai ero stanco, era da almeno quindici mesi che non incontravo una sola persona, la volta che ci andai più vicino fu probabilmente nella notte di cui vi ho raccontato, ma evidentemente la creatura alata la trovò prima di me.
Da tempo mi tormentava la paura che la solitudine, l’isolamento più totale da ogni altro essere umano, potesse intaccare la mia salute mentale e volevo agire prima che ciò avvenisse.
All’inizio ascoltavo musica o guardavo dvd nei miei rifugi, nella speranza che mi tenessero compagnia, fatto sentire meno solo, ma ben presto mi accorsi che avevano solo l’effetto opposto.
Erano solo l’eco lontana di un mondo morto, che non c’era e non sarebbe tornato più.
Lavorai l’intera estate per realizzare il mio progetto, motivato dal solo desiderio di vendetta, forse non il migliore dei propositi, ma straordinariamente efficace.
La parte più difficile del mio piano era comunque trovare una “tana”, una tana il più grande possibile e con un accesso abbastanza grande da farci passare un camioncino.
Non sapevo molto dei demoni alati, erano arrivati così all’improvviso e così massicciamente, a milioni, che non fu possibile alcuna reazione.
Ricordo che le trasmissioni televisive cessarono dopo soli tre giorni.
Il giorno di Maggio in cui tutto ebbe inizio stavo assistendo a una partita di calcio in uno stadio stracolmo di pubblico, sotto uno splendido Sole, quando il cielo si oscurò e pochi istanti dopo una pioggia di “mostri alati”, non so in che altro modo definirli, cadde su di noi. Non potevo credere a ciò che vedevo, ai corpi dilaniati e divorati, alle persone che urlavano e piangevano mentre cercavano invano di sfuggire agli artigli di quelle creature e nonostante tutto, non so come e perché, rimasi immobile, come paralizzato dal terrore finché tutto non fu finito.
Sopravvissi per un mero fatto statistico, come un pesciolino in un grande branco aggredito da voraci predatori.
Nessuno sapeva da dove provenissero, dallo spazio o dal ventre della Terra dicevano alcuni, né che cosa fossero realmente quelle chimere biologiche, quella sorta di gargoyles dalla lunga coda.
Per quanto ne so, sembrano avere un unico scopo: nutrirsi e la loro unica fonte di cibo eravamo e siamo noi.
É strano, non le ho mai sentite emettere alcun suono eppure sono certo che comunichino tra loro in qualche modo.
Per lungo tempo mi nascosi insieme ad altre persone in un parcheggio sotterraneo, reperendo ciò di cui avevamo bisogno per sopravvivere negli immediati paraggi, ma ovviamente col passare del tempo era necessario allontanarsi sempre più dal rifugio.
Un giorno toccò a me andare in cerca di viveri e acqua, prevedevo di tornare in poche ore e non immaginavo che da allora non avrei più rivisto anima viva.
Quando tornai al rifugio non c’era più nessuno, le pareti e i pavimenti erano ricoperti da schizzi e macchie di sangue rappreso, ma non era rimasto nemmeno un solo corpo o brandello d’esso, erano semplicemente tutti scomparsi.
Non posso sapere se qualcuno riuscì a scappare, ma sinceramente ne dubito, ho visto di cosa siano capaci quelle creature, di quanto siano scaltre e spietate.
Per molto tempo non ho fatto altro che prepararmi a quello che nella mia testa era divenuto il “gran finale”, lo avevo a lungo sognato, pregustato, ma quando il giorno tanto atteso è arrivato, tutto è stato diverso da come lo avevo immaginato.
Il giorno designato mi alzai all’alba e come un automa mi preparai senza pensare a nulla.
Avevo individuato da alcune settimane il tempo e il luogo in cui colpire e sapevo di avere a disposizione non più di un paio d’ore, intorno al mezzogiorno, unico periodo della giornata in cui lo sciame di quella tana sembrava riposare.
Il rischio di essere scoperto era ovviamente molto elevato, ma non avevo nulla da perdere.
Presi il mio camioncino, carico di tutto l’esplosivo che avevo preparato e lo portai di fronte all’entrata. Scesi, arrivai fino alla soglia della tana e mi sporsi in avanti indossando il visore notturno.
Non potevo credere a ciò che vedevo, di fronte a me, nell’oscurità quasi totale si estendeva un’immensa cavità ricolma sul fondo di una moltitudine di quelle grottesche creature, ripiegate in avanti con la loro orribile testa nascosta sotto le enormi ali, mentre tutt’attorno c’erano cavità secondarie, stracolme di uomini che sprofondavano nei liquami della loro putrefazione.
Ebbi un conato di vomito, evidentemente non ci si può abituare a tutto, poi gettai a terra il visore e tremando mi diressi verso il camioncino per il mio ultimo viaggio.
Ero spaventato, ma determinato, tante cose mi passarono per la mente in quei momenti.
Ero pronto a lanciarmi nella fossa con la bomba, poi, all’ultimo istante, misi la marcia in folle, scesi e mi allungai per togliere il freno a mano.
Scappai più veloce che potevo stringendo in mano il radiocomando, mentre più di mezza tonnellata di ANFO infarcito di chiodi e bulloni precipitava nella loro tana.
Il tempo sembrò rallentare, premetti il pulsante prima che il veicolo toccasse il fondo e vi fu una detonazione violentissima, molto più di quanto avessi previsto.
Caddi a terra e la sentii tremare sotto di me.
Quando mi rialzai, stordito e confuso, mi diressi con cautela verso il luogo dell’esplosione e con stupore vidi davanti a me una vasta zona di terreno collassata in un profondo cratere. L’intera tana era crollata ed era stata seppellita da migliaia di metri cubi di terra e roccia.
Rimasi alcuni minuti in piedi di fronte a quel cratere, fissandolo, pensando a non so che cosa, poi incurante di ogni pericolo m’incamminai in cerca di un mezzo di trasporto e mi preparai ad affrontare una nuova notte.
Potreste pensare che è stato l’istinto di sopravvivenza a fermarmi, ma non è stato così, a fermarmi fu l’idea che si accese improvvisa e imprevista nella mia mente, un istante prima della fine.
Come ho già detto, quelle creature si cibano solo della nostra specie, di cui forse resiste meno dell’un per cento rispetto solo a un paio di anni fa.
La loro unica fonte di cibo si è ormai esaurita, non so esattamente come la situazione si evolverà, ma ciò che è certo è che presto potranno fare solo due cose: tornare da dove sono venuti o perire e in entrambi casi quando ciò avverrà voglio esserci, lo voglio con tutto me stesso. Nel frattempo continuo il mio viaggio verso sud in previsione dell’imminente inverno, cerco di sopravvivere e soprattutto mantengo viva la speranza d’incontrare qualcuno che renda meno desolata e spaventosa questa terra popolata da mostri.
Non so cosa darei per sentire ancora solo per una volta il pianto di un bambino o il chiacchiericcio indistinto della folla.
Tengo questo diario in forma vocale solo per poter riascoltare il suono della mia voce...

Simone Babini