Diletta è in piedi accanto alla finestra, stringe la sua bambola di pezza. A dodici anni è difficile essere già donna, soprattutto se non hai famiglia e nessuno ti ama. I capelli le ricadono abbondanti sulle spalle robuste, le guance sono rosse e gli occhi ancora lucidi per il pianto. Non si stacca mai da quella finestra: di fronte abita un ragazzo che neppure la considera. Una volta soltanto l’ha guardata dalla strada; lui era con un amico ed entrambi avevano riso nel vederla. Diletta passa quasi tutte le sue ore accovacciata in un angolo della stanza, accanto alla finestra da cui vede la gente vivere. Lei ormai ha smesso di sperare in qualcosa di bello, e domani sarà venerdì 13 aprile, il giorno ideale: deve farsi trovare preparata. Per l’ultima volta tira la tenda e apre le imposte: il vento entra e le frusta il viso. Lui sta passando: è solo. Soltanto qualche giorno addietro lo ha visto in compagnia di una ragazza bellissima.
Venerdì 13 aprile si alza presto: apparecchia la tavola con le poche cose che ha in cucina e si siede, poi prende il veleno. Aspetta invano per ore qualcuno che non verrà. All’improvviso le torna alla mente quel giorno quando lui è salito per riportarle il fermaglio che lei aveva lasciato cadere apposta. Gli aveva chiesto di stare un po’ insieme, ma lui aveva riso come quella volta con il suo amico, quando l’avevano vista nascosta dietro la tenda. L’aveva ucciso in un impeto d’ira, anche se continuava ad immaginarlo passare per la strada. Non ha molto tempo, la sua affidataria sta tornando da un viaggio: prende il bicchiere in cui ha messo il veleno, e ne beve. Muore pensando che quello è il giorno più fortunato di tutta la sua vita.