Robinson aveva liberato l'ennesimo clone del suo aiutante, dopo che l'ultimo era morto candendo dalla scogliera. Da quando, dopo esser naufragato, aveva scoperto questo strano congegno sull'isola, aveva smesso di curarsi della sorte di quell'indigeno che lo seguiva ovunque. Dopotutto i cloni non conservavano memorie del precedente corpo, quindi non aveva nulla di cui preoccuparsi. Ma quest'ultimo aveva qualcosa di strano e sempre più incidenti, pericolosi per l’incolumità di Robinson, si erano avvicendati, tanto da fargli dubitare che si trattasse di meri incidenti. Inoltre sovente aveva sorpreso l'indigeno a guardarlo in un modo strano, quasi feroce. Ma probabilmente era solamente la solitudine che gli faceva brutti scherzi. Quella sera mentre si scaldava davanti al fuoco, attendendo che Venerdì tornasse dalla caccia, notò che qualcosa si muoveva nella boscaglia e sospettando che fosse il suo aiutante lo chiamò più volte a gran voce.
Non
ricevendo risposte pensò che fosse qualche animale e per prudenza raccolse
il suo coltello e si mise ben all'erta. Pian piano i movimenti cessarono e
Robinson potè rilassarsi, qualunque cosa fosse si era allontanata. Posò il
coltello sul terreno rimettendosi a sedere davanti al fuoco, quando un
dolore accecante lo colpì alla schiena gettandolo a terra. Si girò per veder
cosa l'avesse colpito quando una lancia lo inchiodò al terreno perforandogli la
spalla, subito su di lui si lanciò la figura di un uomo che lo colpì al capo
con una grossa pietra facendogli perdere i sensi. Quando si risvegliò, un
dolore diffuso pervadeva il suo corpo, non sentiva più una gamba e si
trovava immobilizzato al suolo. Vide con orrore il suo oramai ex aiutante
chino su di lui che lo guardava col coltello insanguinato in una mano
intento a mangiare quello che a prima vista sembra un piede umano, il suo
piede.
Perdendo i sensi, penso: "A quanto pare il Venerdì 13 porta davvero
sfortuna!"