Nel crepuscolo
freddo e malinconico di febbraio entro nel vicolo dove abita Susanna.
La mia fidanzata abita nell’ultima casetta di un vicolo cieco. A destra ci
sono case decrepite e magazzini. A sinistra, oltre una rete di confine, c’è
un orto dove si muovono alcuni gatti infreddoliti. In fondo al vicolo scorre
un piccolo fiume.
Come le altre volte Susanna mi aspetta nell’ingresso e appena mi vede mi
abbraccia. Poi attraversiamo la piccola cucina, dove stanno cenando i
genitori, ed entriamo in una saletta dove passeremo insieme la serata. Ormai
conosco a memoria tutti i particolari della stanza: la tappezzeria giallo
oro, le tendine a fiori, il lampadario a gocce e la chitarra in un angolo.
Ci sediamo sul divano. Stasera la ragazza indossa un maglioncino rosso e una
gonna blu, pieghettata. Le accarezzo i capelli mentre lei mi parla dei suoi
problemi, della sua famiglia, dei suoi progetti.
Dopo cena i genitori salgono le scale per andare a dormire. Nella casa
adesso è sceso un grande silenzio. Noi parliamo sottovoce e nelle pause si
odono solo i nostri sospiri.
A un tratto, si ode un gatto miagolare là fuori e Susanna esce in cortile
per pochi minuti, probabilmente per portargli del cibo.
Quando la pendola batte undici rintocchi è arrivato il momento di andare
via. È una notte fredda e stellata e io mi incammino verso casa mia.
Venerdì al crepuscolo arrivo all’appuntamento con
Susanna. Percorro il vicolo lungo e stretto, di terra battuta, in discesa.
In questa grigia sera di febbraio c’è solo ombra e squallore. Rivedo le
vecchie case come in un quadro statico, dipinto con colori smorti. Ma questa
sera c’è una novità: una ragazza esile, con vestitino rosso, sta nell’orto.
Mi volta le spalle e quando le sono vicino mi accorgo che è bellina, così le
dico: “Buonasera.”
La ragazza si volta di scatto e con un gridolino corre via. È scontrosa o
selvatica.
Durante la serata Susanna mi dice che la ragazza nell’orto è la figlia dei
vicini ed è la sua amica. Poi, mi suona qualche accordo con la chitarra.
Nella penombra profumata della saletta c’è un’atmosfera intima, quasi di
aspettativa.
La pendola batte le nove e sento i genitori salire le scale per andare a
dormire. Allora faccio sedere Susanna sulle mie ginocchia e la abbraccio e
la stringo, senza parlare. È una sensazione di morbidezza e di calore che ci
isola e protegge dal mondo. I vetri della finestra sono tutti appannati e
fuori c’è solo freddo e buio.
Improvvisamente dall’esterno proviene un miagolio lungo e insistente.
Susanna smette di baciarmi, si divincola, tenta di liberarsi dal mio
abbraccio. Poichè non ci riesce, imita il miagolio del gatto, due, tre
volte.
Sbalordito la lascio libera e lei corre verso la porta mormorando in tono di
scusa: “Devo andare... la mia amica mi sta chiamando...”
Un po’ stordito, rimango da solo seduto sul divano, ad aspettarla.
Penso che le gatte e le femmine hanno molte cose in comune.