L'immortale

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

Mio figlio Gabriel si era ammalato gravemente.
Per Dio, morire a cinque anni!
“Dobbiamo salvarlo!” dissi allo stregone Irap.
“C’è solo un modo, Tancan” mi rivelò lui, in tono spento. “La pianta notturna!”
“Dove posso trovarla?”
“L’unico posto... è la caverna di Sibila, la Donnaragno” rispose con un fil di voce.
La leggenda narrava che quel mostro uccidesse chiunque tentava di estirpare la pianta, anche i guerrieri più valorosi. E adesso toccava a me...
Sì, ero abile con la spada, ma non credo sarebbe bastato. E prima di lanciarmi in quella missione suicida, decisi di chiedere aiuto al saggio stregone.
“Irap” implorai “donami un grande potere. Devo sconfiggere Sibila. Farò tutto ciò che vuoi”.
Lo stregone mi fissò con i suoi occhi penetranti, poi propose: “Ti offro l’immortalità. Ma... voglio in cambio le tue ricchezze”.
“Non puoi concederla a mio figlio, l’immortalità?”
Irap scosse la testa.“No! Questo tipo di magia è troppo potente. Lo ucciderebbe!”
Non avevo scelta. “Accetto!” dissi.
Lo stregone prese un vaso in ceramica bianco e vi immerse la mano dentro. “È una polvere magica” dichiarò. Poi estrasse le dita impregnate di grigio e le strofinò sulla mia fronte, invocando più volte: “Spiriti dei guerrieri, donate l’immortalità a Tancan”.
Tremavo percosso da brividi violenti.
Ero diventato immortale!
Partii subito per la missione.
Il cielo era una distesa oscura. L’aria gelida mi penetrava nelle ossa. Dopo aver marciato per un’ora nel bosco, finalmente giunsi alla caverna di Sibila.
Entrai senza esitare.

Era tutto buio. Accesi la torcia e aguzzai la vista. Determinato, avanzai lungo quel varco roccioso. Non potevo essere sconfitto. Io, non potevo morire.
Sono immortale, mi dissi, traboccante di coraggio.
C’era silenzio. L’aria puzzava di marcio e corpi in decomposizione. E quando scorsi scheletri, teste mozzate e fiumi di sangue, il cuore prese a martellarmi sul petto.
Poi, un sibilo terrificante e un rumore di passi strascicati echeggiò nelle pareti rocciose.
Era Sibila. Aveva otto zampe piene di peli acuminati e, il volto... il volto era quello di una donna rugosa. Dai suoi occhi rosso sangue saettavano lampi maligni.
Era orrenda!
Impugnai l’elsa della spada e feci vorticare la lama in avanti.
“Come osi disturbare la mia quiete?” sibilò, sferrando il primo micidiale attacco.
Mi spostai a sinistra, feci mulinare la lama e gli mozzai una zampa. Rivoli di sangue e gemiti acuti. “Sono immortale!” dichiarai in tono solenne, “Stammi lontano o morirai! Mi serve solo la pianta!”.
Ostinata, Sibila spalancò le fauci e mi spruzzò addosso fili di fitta ragnatela appiccicosa. Semi paralizzato, lanciai la spada e trafissi quel volto raccapricciante. Dopo un urlo lancinante, il corpo mostruoso crollò a terra, privo di vita.
Raccolsi la pianta notturna e tornai al mio villaggio.
“Mio figlio è salvo!” dissi allo stregone. “Sono immortale! Prendi pure le mie ricchezze”.
Lo stregone rise. “Non sei immortale!” rispose. “Ma avevi bisogno che lo credessi”.

Alessio Scalia