Mio figlio Gabriel si era ammalato gravemente.
Per Dio, morire a cinque anni!
“Dobbiamo salvarlo!” dissi allo stregone Irap.
“C’è solo un modo, Tancan” mi rivelò lui, in tono spento. “La pianta
notturna!”
“Dove posso trovarla?”
“L’unico posto... è la caverna di Sibila, la Donnaragno” rispose con un fil di
voce.
La leggenda narrava che quel mostro uccidesse chiunque tentava di estirpare
la pianta, anche i guerrieri più valorosi. E adesso toccava a me...
Sì, ero abile con la spada, ma non credo sarebbe bastato. E prima di
lanciarmi in quella missione suicida, decisi di chiedere aiuto al saggio
stregone.
“Irap” implorai “donami un grande potere. Devo sconfiggere Sibila. Farò
tutto ciò che vuoi”.
Lo stregone mi fissò con i suoi occhi penetranti, poi propose: “Ti offro
l’immortalità. Ma... voglio in cambio le tue ricchezze”.
“Non puoi concederla a mio figlio, l’immortalità?”
Irap scosse la testa.“No! Questo tipo di magia è troppo potente. Lo
ucciderebbe!”
Non avevo scelta. “Accetto!” dissi.
Lo stregone prese un vaso in ceramica bianco e vi immerse la mano dentro. “È
una polvere magica” dichiarò. Poi estrasse le dita impregnate di grigio e le
strofinò sulla mia fronte, invocando più volte: “Spiriti dei guerrieri,
donate l’immortalità a Tancan”.
Tremavo percosso da brividi violenti.
Ero diventato immortale!
Partii subito per la missione.
Il cielo era una distesa oscura. L’aria gelida mi penetrava nelle ossa. Dopo
aver marciato per un’ora nel bosco, finalmente giunsi alla caverna di
Sibila.
Entrai senza esitare.
Era tutto buio. Accesi la torcia e aguzzai la vista. Determinato, avanzai
lungo quel varco roccioso. Non potevo essere sconfitto. Io, non potevo
morire.
Sono immortale, mi dissi, traboccante di coraggio.
C’era silenzio. L’aria puzzava di marcio e corpi in decomposizione. E quando
scorsi scheletri, teste mozzate e fiumi di sangue, il cuore prese a
martellarmi sul petto.
Poi, un sibilo terrificante e un rumore di passi strascicati echeggiò nelle
pareti rocciose.
Era Sibila. Aveva otto zampe piene di peli acuminati e, il volto... il volto
era quello di una donna rugosa. Dai suoi occhi rosso sangue saettavano lampi
maligni.
Era orrenda!
Impugnai l’elsa della spada e feci vorticare la lama in avanti.
“Come osi disturbare la mia quiete?” sibilò, sferrando il primo micidiale
attacco.
Mi spostai a sinistra, feci mulinare la lama e gli mozzai una zampa. Rivoli
di sangue e gemiti acuti. “Sono immortale!” dichiarai in tono solenne,
“Stammi lontano o morirai! Mi serve solo la pianta!”.
Ostinata, Sibila spalancò le fauci e mi spruzzò addosso fili di fitta
ragnatela appiccicosa. Semi paralizzato, lanciai la spada e trafissi quel
volto raccapricciante. Dopo un urlo lancinante, il corpo mostruoso crollò a
terra, privo di vita.
Raccolsi la pianta notturna e tornai al mio villaggio.
“Mio figlio è salvo!” dissi allo stregone. “Sono immortale! Prendi pure le
mie ricchezze”.
Lo stregone rise. “Non sei immortale!” rispose. “Ma avevi bisogno che lo
credessi”.