Il cielo di Venezia, un piombo fuso dalle sfumature nerastre, si fondeva con
il grigiore dei canali e il lento putridume dell’acqua.
Derek, al centro del grande salone, intinse il pennello nella vernice rossa
e tracciò con una mossa fluida l’ultimo tratto del Pentacolo. La sera
scendeva rapida e le poche candele, poggiate sul pavimento umido,
illuminavano a malapena l’ambiente. Lungo le pareti, rivestite di carta da
parati logora e macchiata, erano accatastati vecchi mobili e divani coperti
da drappi ammuffiti.
“Ho finito.” mormorò con un filo di voce, poggiando a terra il pennello.
Luca Manni, in ginocchio accanto al disegno, afferrò una tozza matita e
scrisse sulla pietra due lettere, grovigli confusi di un alfabeto
dimenticato. Emise un sospiro. “Anche io. Il rituale è compiuto.”
“Ora, dobbiamo solo attendere.”
Un lampo improvviso illuminò il cielo, seguito da un rombo lontano. Una
pioggia fitta, sferzata dal vento, iniziò a colpire le grandi vetrate
incorniciate di legno dorato. L’acqua scorreva in lunghi fili contorti. Di
colpo, al centro della finestra, si formò una macchia opaca. Alcune gocce la
evitarono con traiettorie innaturali, altre si infilarono dentro,
vorticando. Disegnarono un volto. Gli occhi, acquosi, si spalancarono, come
quelli di un bimbo appena nato, e la bocca si deformò in un pianto muto.
Derek lo studiò attentamente. “Un demone dell’acqua.” Scosse la testa,
infastidito. “Debole e innocuo.”
Manni allungò un dito verso il volto intrappolato nel vetro. Il demone
ringhiò in silenzio.
“Dobbiamo osare di più.” disse asciutto “Porta il gatto.”
L’altro arrivò con una gabbia. La aprì, afferrò un grosso micio nero e con
un rapido gesto gli tagliò la gola. Un miagolio acuto, simile all’urlo di un
bambino ferito, scosse l’aria putrida del vecchio salone, accompagnato da
uno spruzzo di sangue. Si passò una mano sul viso, per pulirsi, poi gettò
l’animale al centro del Pentacolo.
Rimasero un attimo in silenzio. Luca si chinò a terra. “Ora, le parole
aggiuntive.” concluse soddisfatto, scarabocchiando le piastrelle corrose.
Trascorsero alcuni minuti, lunghi come ore. L’oscurità aveva inondando il
palazzo, respinta dalle pozze di luce delle candele. Di colpo le fiammelle
si mossero, inquiete, agitate da un vento inesistente. Una fiamma si accese
al centro del Pentacolo e avvolse l’animale sgozzato, facendolo sussultare.
Il gatto si rialzò, con un movimento sinuoso.
Manni sorrise. “Un demone animale. Feroce ma ubbidiente.”
Il felino si alzò sulle zampe posteriori, simile a un cavallo imbizzarrito.
Iniziò a crescere con un crepitio di carne e ossa rotte, gonfiandosi, con i
lunghi peli neri che si agitavano, sferzando l’aria. La massa informe
aumentò sino a divenire grande come un essere umano.
In posizione eretta uscì dal Pentacolo. Aprì la bocca, rossa e con file di
denti aguzzi, e biascicò con voce profonda e carica di rancore.
“Non si uccidono gli animali. Idioti.”
Manni svenne e Derek lo fissò, inorridito.
Qualcosa doveva essere andato storto.