Disertai. Almeno
credo che si possa definire così, anche se non lo feci solo per il terrore
che provavo sul campo, ma perché capii che non c'era più nulla da fare.
Sicuramente in pochi giorni sarei morto anch'io, insieme a quelle persone di
cui non conoscevo nemmeno il nome, partite con me dalla capitale, qualcuno
per l'onore e l'amore per la patria, altri come me, per la fame. Speravo di
guadagnare qualche soldo e avere un pasto garantito. Quella brodaglia
collosa, mi ricordava l'impasto per i maiali che mio padre serviva alle
bestie due volte al giorno. Eravamo anche noi animali? No, forse disperati
buttati nella mischia per reggere le fila di difesa di questa terra
martoriata.
Arrivai in una radura con il fiato corto. Temevo che i mastini mi
rincorressero, i nostri o i loro, non faceva differenza. Fu lì allora che
vidi il capanno, ma soprattutto lui, l'uomo. Seduto su una panca di legno,
era intento ad accordare il suo strumento. Accanto a lui, un cane dormiva
steso nell'erba, davanti a un fuoco su cui ribolliva una pentola. Quando
arrivai, drizzò la testa. Sentii le viscere liquefarsi. Ero disarmato,
stanco e ferito. Il cane mi squadrò e poi sbadigliò.
«Oh, tranquillo, è innocuo», esclamò l'uomo.
C'era serenità in lui. Un senso di quiete che sembrava diffondersi in tutta
la radura. Sentii di dovermi avvicinare, e riposare.
L'uomo indicò la pentola. «Stufato. In queste sere calde, amo mangiare
all'aperto, mentre suono. Gradisci?», la sua voce era gentile.
«Chi sei tu?», chiesi incerto. Il terrore di essere catturato e portato alla
forca, mi stringeva lo stomaco.
«Nulla di più che un musicista.»
Accettai il pasto. La fame era improvvisamente tornata. Pochi istanti prima
non sarei riuscito a ingoiare un boccone.
«Vivi qui?», chiesi.
«Sono solo di passaggio. Ho trovato questo capanno da caccia e ho deciso di
usarlo per comporre.»
Il cane si alzò, si stiracchiò e si diresse verso gli alberi. Scomparve nel
folto del bosco. L'atmosfera era irreale, tanto che temetti di trovarmi di
fronte alla morte in persona.
«No, ragazzo mio, non sono chi credi tu», esclamò l'uomo. Soffiò sullo
stufato e si portò il cucchiaio alla bocca.
Rimasi sgomento. «Cosa?»
«Ti chiedevi se fossi venuto per portarti via. Non ho bisogno della tua
vita, solo che tu mi riporti i dolori di chi è morto su quel campo», rispose
con un sorriso amaro.
«Non capisco cosa intendi.»
«Anni fa, ero un soldato come te. Portai con me quello strumento che vedi,
per allietare i miei compagni alla sera, davanti a fuochi come questo.
Quando morii, mi venne a prendere per mano un uomo, che mi portò in un
cimitero. Lì, il suo padrone che chiamava il Re del Cimitero, mi diede
un'altra possibilità. Ma c'era un prezzo da pagare.»
«Quale? Dimmelo!»
«Avrei dovuto creare canzoni per lui, sui dolori degli uomini, perché è di
questo che lui si nutre. E dove, se non vicino a un campo di battaglia, si
possono ascoltare, i racconti delle sofferenze più atroci?»
Deglutendo, chinai il capo e iniziai a raccontare.