Il musicista

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2012 - edizione 4

Disertai. Almeno credo che si possa definire così, anche se non lo feci solo per il terrore che provavo sul campo, ma perché capii che non c'era più nulla da fare. Sicuramente in pochi giorni sarei morto anch'io, insieme a quelle persone di cui non conoscevo nemmeno il nome, partite con me dalla capitale, qualcuno per l'onore e l'amore per la patria, altri come me, per la fame. Speravo di guadagnare qualche soldo e avere un pasto garantito. Quella brodaglia collosa, mi ricordava l'impasto per i maiali che mio padre serviva alle bestie due volte al giorno. Eravamo anche noi animali? No, forse disperati buttati nella mischia per reggere le fila di difesa di questa terra martoriata.
Arrivai in una radura con il fiato corto. Temevo che i mastini mi rincorressero, i nostri o i loro, non faceva differenza. Fu lì allora che vidi il capanno, ma soprattutto lui, l'uomo. Seduto su una panca di legno, era intento ad accordare il suo strumento. Accanto a lui, un cane dormiva steso nell'erba, davanti a un fuoco su cui ribolliva una pentola. Quando arrivai, drizzò la testa. Sentii le viscere liquefarsi. Ero disarmato, stanco e ferito. Il cane mi squadrò e poi sbadigliò.
«Oh, tranquillo, è innocuo», esclamò l'uomo.
C'era serenità in lui. Un senso di quiete che sembrava diffondersi in tutta la radura. Sentii di dovermi avvicinare, e riposare.
L'uomo indicò la pentola. «Stufato. In queste sere calde, amo mangiare all'aperto, mentre suono. Gradisci?», la sua voce era gentile.
«Chi sei tu?», chiesi incerto. Il terrore di essere catturato e portato alla forca, mi stringeva lo stomaco.
«Nulla di più che un musicista.»
Accettai il pasto. La fame era improvvisamente tornata. Pochi istanti prima non sarei riuscito a ingoiare un boccone.
«Vivi qui?», chiesi.

«Sono solo di passaggio. Ho trovato questo capanno da caccia e ho deciso di usarlo per comporre.»
Il cane si alzò, si stiracchiò e si diresse verso gli alberi. Scomparve nel folto del bosco. L'atmosfera era irreale, tanto che temetti di trovarmi di fronte alla morte in persona.
«No, ragazzo mio, non sono chi credi tu», esclamò l'uomo. Soffiò sullo stufato e si portò il cucchiaio alla bocca.
Rimasi sgomento. «Cosa?»
«Ti chiedevi se fossi venuto per portarti via. Non ho bisogno della tua vita, solo che tu mi riporti i dolori di chi è morto su quel campo», rispose con un sorriso amaro.
«Non capisco cosa intendi.»
«Anni fa, ero un soldato come te. Portai con me quello strumento che vedi, per allietare i miei compagni alla sera, davanti a fuochi come questo. Quando morii, mi venne a prendere per mano un uomo, che mi portò in un cimitero. Lì, il suo padrone che chiamava il Re del Cimitero, mi diede un'altra possibilità. Ma c'era un prezzo da pagare.»
«Quale? Dimmelo!»
«Avrei dovuto creare canzoni per lui, sui dolori degli uomini, perché è di questo che lui si nutre. E dove, se non vicino a un campo di battaglia, si possono ascoltare, i racconti delle sofferenze più atroci?»
Deglutendo, chinai il capo e iniziai a raccontare.

Marco Siena