Il campanello
della porta tintinnò al passaggio di una donna stupenda.
«Posso aiutarla?»
«Do’ un’occhiata alle opere, se non le dispiace.»
Invitai quella giunonica creatura con un cenno della mano, difficilmente
sostenevo il suo sguardo. Passeggiava sinuosamente da un’opera all’altra,
finché si fermò. «Questa!»
«Cosa?» le chiesi, non capendo.
«Questo dipinto. E’ così intenso, così... rosso!»
Mi portai dietro di lei: «E’ astratto, si intitola emozione. Le
piace?»
«Emozione, dal latino Emotus; Portare fuori, agitare, scuotere...».
Quelle parole, il suono irresistibile della sua voce. Mi scollai il bavero:
«Sì? E dire che... Pensavo che c’entrasse il sangue. Sa, emo.»
«Oh, ma il sangue c’entra sempre!» I suoi occhi mi folgorarono ed entrò di
prepotenza nella mia mente. Quel viso angelico dal profumo diabolico mi
sfiorò la guancia, come stesse assaporando la mia ansia.
«Lei ha talento, sa?»
«Grazie, non sono in molti a percepire gli stati d’animo attraverso le tele.
Prenda quest’altra, ad esempio. Cosa le suggerisce la sua sensibilità?»
Esitò pochi istanti: «Nebbia, malinconia, dolore.» Quella donna aveva
qualcosa di soprannaturale.
«L’ho chiamato la notte.»
«No, non l’hai chiamato così», le sfuggì.
«Mi leggi il pensiero!»
«Non è corretto, vero? Ma chi se ne importa, a te non di certo. O meglio,
non più!». Mi si avventò affondando i suoi freddi e affilati canini nella
giugulare. Il brivido della morte percorse il mio corpo e d’improvviso, il
velo della notte calò sulla mia anima. Calzava come un vestito tagliato
addosso e nella polvere di un turbine di ricordi, intravidi i suoi occhi
famelici. Mi scrutava, mi osservava nel profondo. Divenne presto parte di
me, come una sorta di cattiva coscienza. Parlò: «Non è la fine, è solo
l’inizio. Rinascerai, figlio della notte, e stuprerai altre anime come ho
fatto con te. Perché è nella tua natura, l’ho visto. Io l’ho visto!».
Il sangue mi abbandonò. La vita, fuoriusciva da quei fori a litri, finché la
notte mi alitò in bocca un soffio di selenio e volai. Volai per davvero,
sulla città, sul fiume, sui monumenti. La brezza carezzava le mie membra
sottili, come una foglia che plana dai rami secchi dell’albero. Un pianto mi
guidò e percorsi lunghi, pallidi sentieri nel labirinto della morte. Seduta
su un’anonima pietra tombale la vidi. Era di spalle, il vento trasportava
l’acredine dei suoi capelli ramati. Mi chiesi per un istante quale fosse il
motivo di quelle lacrime. L’amarezza della solitudine, la paura, la morte...
Ché la falce della nera signora avesse reciso uno stelo a lei caro?
Mi presentai come nebbia per avvolgerla in un denso abbraccio. Un freddo,
gelido banco di nebbia che la tenne sospesa a mezz’aria. Non si ribella, chi
è afflitto dal mal di vivere.
«Hai il tramonto negli occhi», mi disse.
«No...» le sussurrai dolcemente: «è solo il tuo sangue».