I cinque sensi

Avvolta nell’oscurità che l’aveva generata, la creatura aspettava il momento propizio.
Gli abissi del lago, antro immondo di sangue, custodivano gelosamente il suo corpo cieco e orrido, preservavano la sua mostruosità affinché la mutazione potesse terminare.

 

UDITO

 

La giornata era fantastica, cielo terso e sole tiepido collaboravano alacremente per rendere la gita di Diana perfetta. Di questo passo sarebbe riuscita sicuramente a farsi baciare da Filippo, il ragazzo più bello e ambito della scuola.
- Allora, qual è il piano? - Marta rivolse uno sguardo malizioso all’amica.
- Abbassa la voce! - Diana rifilò un pizzicotto sul braccio dell’invadente ragazza.
- Scusa - cominciò allora a bisbigliare - ero solo curiosa di sapere in che modo volevi adescare quel pesce lesso.
Diana alzò gli occhi al cielo, producendo uno sbuffo rumoroso - Non è un pesce lesso. Solo perché è un ragazzo timido non vuol dire che sia tonto. Non a tutte piacciono i caproni che frequenti tu.
- Accidenti, mi sembri un tantino sulla difensiva. Ti perdono solo perché sono i tuoi ormoni impazziti a parlare.
La riservata biondina diede uno spintone alla sua compagna, poi si esibì in una risata argentina scostando i lunghi capelli di lato - Scusa, non sono gli ormoni impazziti, è solo agitazione. Filippo mi piace davvero.
- Se vuoi il mio parere, il momento propizio è subito dopo pranzo. I professori ci lasceranno bivaccare sull’erba, allenteranno la sorveglianza e tu sarai libera di fare quello che ti pare.
- Avevo pensato di fare recapitare un biglietto a Filippo per dargli appuntamento vicino al lago, là dietro non c’è mai nessuno. Poi faccio finta di andare al bagno e lo aspetto - Diana squadrò l’amica aspettando desiderosa un gesto d’approvazione.
- Diabolica - ridacchiò Marta in tono canzonatorio.

Le due e trenta arrivarono al galoppo, Diana girò lo sguardo verso i professori. Sdraiati sul prato a godersi beatamente il tepore del sole, erano rilassati e in piena fase digestiva.
Si alzò in piedi e lanciò un occhiolino alla sua complice, finalmente si diresse verso il lago dando una languida scorsa a Filippo. Lui si accorse immediatamente delle mosse della ragazza, entro breve l’avrebbe raggiunta.
Diana contemplò lo specchio d’acqua placido davanti a lei, i raggi del sole filtravano sulla superficie creando spettacolari sfavillii di luce.
Scelse un angolino appartato in prossimità della riva, si poggiò delicatamente sul tronco di una grossa quercia, tenendosi pronta per il suo principe azzurro.
Quando sentì le foglie crepitare sotto il peso di una camminata, chiuse subito gli occhi, inumidì le labbra e attese eccitata.
Filippo si stava avvicinando, avvertì la sua presenza proprio davanti a lei.
L’alito del ragazzo le scaldò la guancia, ma le sue narici registrarono un odore fetido, melmoso.
Come poteva essere il suo Filippo? Aprì di scatto gli occhi.
Un essere untuoso, privo di cavità oculari e con l’aspetto di un grosso rettile, protese i lunghi artigli verso Diana. La ragazza non poté far altro che urlare con tutto il fiato che aveva in gola, ma il mostro, con un gesto rapido e sapiente, le piantò le unghie affilate nella giugulare.
Con calma si dedicò alle orecchie, un morso dopo l’altro le ingoiò con ingordigia.
Finito il lauto banchetto, si tuffò sazio e pago nei fondali limacciosi che lo riaccolsero nel loro ventre protettivo.

 

L’acqua portava con sé i suoni provenienti dall’esterno: urla disperate, persone concitate, la sirena di un’ambulanza. Finalmente la creatura poteva udire la voce del mondo, le sue doti di cacciatore si stavano affinando.
Ma della sua cupa fame non ancora sazio, il cieco duce tesseva la mortale tela, mentre la notte ricopriva il mondo sotto le sue immense ali di pipistrello.

 

VISTA

 

- Dodici decimi. Non perde un colpo da anni - dichiarò l’oculista al suo paziente.
Finita la visita il signor Frattali tornò a casa.
Al rientro vide sua moglie vestita di tutto punto, con un cestino di vimini liso posato in bella vista sul tavolo del soggiorno.
L’uomo sorrise dolcemente - Si va a villa Paradiso, vero tesoro?
Lei annuì smagliante. Era una tradizione consolidata, tutti gli anni andavano a fare una scampagnata nel vicino parco, luogo in cui un giovane signor Frattali aveva chiesto a un altrettanto giovane e affascinante ragazza di sposarlo.
Presero lo stesso posto di sempre, quello vicino al lago.
Tutte le coppiette lo sapevano, era il più appartato e intimo della villa.
Sara aveva preparato un pranzetto molto sfizioso, era la regina dei panini.
- Mi sto pisciando sotto - esclamò a un certo punto il signor Frattali.
La moglie lo scrutò accigliata - Come sei poetico. Vai alla toilette allora.
- Non mi va di arrivare fino laggiù - l’uomo si guardò intorno - la vado a fare dietro a quel cespuglio.

 

Ora che poteva udire, trovare le prede era molto più facile. Non passavano molte persone da quelle parti, ma proprio in quell’istante l’acqua gli portò alle orecchie un’eco di passi, il rumore di una zip che veniva abbassata... era arrivato il momento.

 

Sara seguì con lo sguardo il marito sparire dietro la fitta vegetazione, stava diventando debole di prostata. Il pensiero le strappò un sorriso.
Attese il suo ritorno per più di cinque minuti, sbagliava o ci stava mettendo troppo? Che avesse avuto un malore?
Decise di alzarsi, per controllare che fosse tutto a posto. Cercò di fare piano, se Carlo l’avesse scoperta in preda a uno dei suoi soliti attacchi d’ansia avrebbe di sicuro cominciato a borbottare.
Scostò i rami di un rovo, notò una piccola pozza d’acqua.
Un solco per terra, come se qualcosa di pesante fosse stato trascinato verso il lago.
Spinse lo sguardo verso la riva, una scarpa giaceva capovolta. Un mocassino marrone.
Il cuore le diede una scossa, tremante compì alcuni passi in avanti.
Si chinò a raccogliere la calzatura di suo marito, c’era del sangue sull’arenile.
Improvvisamente, a un metro da dove si trovava, l’acqua cominciò a gorgogliare, poi esplose come un geyser. Un fantoccio venne sputato fuori dal fondale, schiantandosi goffo ai piedi di Sara.
Carlo, spolpato come una carcassa, la fissò con orbite vuote.
La povera donna svenne.

 

OLFATTO

 

Vedere cambiava tutto, ora poteva lasciare quel luogo precario e procacciarsi il cibo da solo.
Sussisteva solo un problema, riuscire a spostarsi. Non poteva rimanere molto tempo fuori dall’acqua, un’ora al massimo. Ciò non gli concedeva un ampio raggio d’azione.
Tuttavia la sorte gli diede una mano, si scatenò un violento temporale. Il plasmabile e scivoloso corpo dell’essere afferrò le gocce di pioggia, penetrò al loro interno e si mosse assieme a esse.
Vide la città stagliarsi sotto di lui, i fanalini luminosi di una moltitudine di auto sfrecciare in tutte le direzioni. Vide i tetti appuntiti, i camini sbuffare come incalliti fumatori, le mille luci accese, sentinelle a rischiarare il buio di una notte senza luna.
Udì una voce di donna cantare melodiosa all’interno di un appartamento, venne calamitato in quella direzione. La pioggia lo posò delicatamente su un piccolo balcone, ingombrato da panni stesi.
Ripresa la sua forma mostruosa, mosse dei passi viscidi verso la finestra appannata, adocchiò delle pentole da cui uscivano volute di fumo cariche di profumi che molto presto sarebbe stato in grado di percepire.

 

Federica stava cucinando per il suo fidanzato, cenetta romantica a lume di candela. Quando sentì lo schianto dei vetri e vide quel mostro squamoso irrompere nel salone e avventarsi su di lei, riuscì solo a pensare che avrebbe dovuto togliere l’arrosto dal forno.
Il mostro divorò il suo pasto, metri d’intestino giacevano sul parquet, lordandolo.
Finito il banchetto, il turpe essere fece una scoperta sensazionale: il rubinetto dal quale fuoriusciva copiosa acqua fresca.
Tuffatosi al suo interno cominciò a vagare per le tubature, attraverso le fogne.
Rubare gli altri due sensi e trovare il cibo si sarebbe rivelata un’impresa davvero facile.
Poteva spostarsi dove voleva. In qualunque momento.

Eleonora Della Gatta