Duuumm. Di colpo aprii gli occhi arrossati ancora carichi di sonno. Mi svegliò un suono. Era basso, profondo, nero. Sentii dei toni acuti intervallarsi a quel sottofondo infernale, e cercai in tutti i modi di ripararmi da quel peso, tanto da farmi uscire di senno. Come un gesso che stride sulla superficie liscia dell’ardesia ed il metallo che incide la porcellana bianca, riusciva a penetrarmi completamente. Scalzo, sentii il pavimento freddo gelare le piante dei miei piedi, mi voltai e picchiai la testa contro quella che doveva essere la prominenza di una roccia umida, ed al tatto, vischiosa. Attorno, niente. Mi toccai il volto insanguinato e coperto di lunghi peli ruvidi, come quelli di un... Realizzai così di essere diventato la sua preda. Lo sentivo, lo percepivo. Il mio fiato si fece d’improvviso più acceso, volevo fermarlo, coprirlo, ma il battito aumentava e non seppi più come arrestarlo. Mi voltai per fuggire in qualunque direzione e lo vidi là. Un’ombra allungata sulla roccia lavorata per migliaia di anni, da una goccia alla volta, con infinita pazienza e solitudine, proiettata da un fascio debole.
Quella pallida luce lontana, l’unica ad alimentare la speranza di poter uscire da quell’orrore, non incolume, certo che no, ma forse, vivo. Il troll era ben più massiccio di quella scarna inefficiente riproduzione luminosa. E avanzando, si trascinava appresso un immenso tronco seghettato amputato alla radice, ancora sporco di sangue. Un brandello di carne ancora attaccato. Sembrava un fardello dal quale non poteva scindersi, un’arma che doveva colpire ancora, calamitata ormai sull’unico essere presente, io. Non vi erano vie di fuga. I troll vivono la notte. Ogni passo trascinava il possente pezzo più vicino e riusciva in modo così impeccabile a scandire il tempo che mi rimaneva. Duuumm. Silenzio. Solo il suo respiro sopra il mio. Buio.
Abito a Lugano, sono laureata in Scienze della Comunicazione, vorrei proseguire gli studi in Editoria e scrivere, scrivere, scrivere.