Iniziò come una marea che si alza sempre più, portandosi via un pezzo di
spiaggia alla volta.
Una piccola folla sfondò la porta della nostra stanza armata di forconi e
torce, con la paura e l’odio e il disprezzo che si facevano strada verso di
noi distruggendo tutto quello che toccavano. La presero dal letto ancora
svestita urlandole contro le peggiori offese, la chiamarono strega, demone,
assassina e mentre le strappavano i capelli la portarono fuori sul prato. Il
giovane prete del paese, l’animatore di quell’orrendo teatrino pregava il
suo Dio perché li perdonasse per quello che stavano per fare. Prese il
coltello, lo alzò al cielo, e lentamente lo fece entrare tra le costole del
mio angelo. Lei gridava e si dimenava mentre io ero imprigionato dai
bifolchi del paese. Gridava e non potevo fare nulla, il sangue che scorreva
sull’erba e le lacrime copiose sul viso. Sentì la rabbia ardermi dal cuore
mentre con le mani spezzavo le braccia dei miei assalitori liberandomi. Un
ringhio mi uscì mentre affondavo i denti nel collo del giovane prete e il
suo sgradevole sangue mi scendeva giù per la gola. Ma non era abbastanza.
Presi la sua croce, portata al petto come il gioiello di una vecchia
signora, e mentre le mie mani bruciavano al tocco del “Sacro”, al tocco del
“Divino”, gliela strappai dal collo e la conficcai nei suoi occhi maledetti.
<<Mostro!>> gridavano i paesani impauriti dalle urla del giovane mentre
fuggivano come pecore alla vista del lupo. <<Perdonaci o signore. Sia fatta
la tua gloria.>> gorgogliava il prete con la bocca piena di sangue. Nella
mia disperazione l’unica domanda che mi riuscì fare fu: <<Perché?>>.
Il prete mi rispose ridendo, coperto di sangue e con il viso irriconoscibile
mi si avvicinò all’orecchio e disse:
<<Perché siete dei mostri.>>