Arrivano. Sacchi
d’ossa e di carne putrefatta che avanzano ciondolando, in una macabra
imitazione di un corteo funebre. Riccardo è sul balcone. Li accoglie con una
sventagliata di M4. I corpi si sfaldano sotto la pioggia di piombo. Continua
a sparare nel mucchio, senza prendere la mira.
Non basta. I morti sono troppi. Pugni macilenti si abbattono contro i muri
della casa, bocche affamate azzannano le assi alla ricerca di una breccia,
un pertugio. Vogliono entrare. Vogliono lui.
Il latrato dell’M4 si interrompe: il caricatore è vuoto. Riccardo bestemmia
e corre dentro. Sulla scrivania dello studio fa bella mostra di sé un
voluminoso manoscritto.
Un rumore di legno schiantato dal piano inferiore: hanno sfondato la porta.
Riccardo si affaccia sul pianerottolo, giusto in tempo per vedere i morti
tracimare dalla porta come un fiume in piena. Uno zombie, più veloce degli
altri, è già sulle scale e si arrampica carponi. Ha la faccia scarnificata e
i riccioli di pelle gli ricadono dondolanti sul collo. Riccardo gli sfonda
la testa molliccia col calcio del fucile.
Non fruga nelle tasche: sa di non avere altre cartucce. Si limita a tornare
nel suo studio e a restare là, in piedi. Uno di quegli obbrobri fa capolino
dalla soglia.
Riccardo non gli presta attenzione. Guarda le fotografie alle pareti, le
targhe e i premi sulle mensole. Un sorriso amaro gli taglia il viso: proprio
lui, uno scrittore di romanzi horror, si ritrova a essere l’ultimo uomo
sulla faccia della Terra. Se Dio esiste deve avere uno strano senso
dell’umorismo.
Afferra il manoscritto, indifferente ai gemiti gutturali degli zombie che
hanno invaso la stanza. Legge le ultime righe e annuisce soddisfatto. Sì, è
un grande romanzo, forse il suo capolavoro. Peccato che nessuno lo leggerà
mai.