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Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2011 - edizione 10

Arrivano. Sacchi d’ossa e di carne putrefatta che avanzano ciondolando, in una macabra imitazione di un corteo funebre. Riccardo è sul balcone. Li accoglie con una sventagliata di M4. I corpi si sfaldano sotto la pioggia di piombo. Continua a sparare nel mucchio, senza prendere la mira.
Non basta. I morti sono troppi. Pugni macilenti si abbattono contro i muri della casa, bocche affamate azzannano le assi alla ricerca di una breccia, un pertugio. Vogliono entrare. Vogliono lui.
Il latrato dell’M4 si interrompe: il caricatore è vuoto. Riccardo bestemmia e corre dentro. Sulla scrivania dello studio fa bella mostra di sé un voluminoso manoscritto.
Un rumore di legno schiantato dal piano inferiore: hanno sfondato la porta.
Riccardo si affaccia sul pianerottolo, giusto in tempo per vedere i morti tracimare dalla porta come un fiume in piena. Uno zombie, più veloce degli altri, è già sulle scale e si arrampica carponi. Ha la faccia scarnificata e i riccioli di pelle gli ricadono dondolanti sul collo. Riccardo gli sfonda la testa molliccia col calcio del fucile.

Non fruga nelle tasche: sa di non avere altre cartucce. Si limita a tornare nel suo studio e a restare là, in piedi. Uno di quegli obbrobri fa capolino dalla soglia.
Riccardo non gli presta attenzione. Guarda le fotografie alle pareti, le targhe e i premi sulle mensole. Un sorriso amaro gli taglia il viso: proprio lui, uno scrittore di romanzi horror, si ritrova a essere l’ultimo uomo sulla faccia della Terra. Se Dio esiste deve avere uno strano senso dell’umorismo.
Afferra il manoscritto, indifferente ai gemiti gutturali degli zombie che hanno invaso la stanza. Legge le ultime righe e annuisce soddisfatto. Sì, è un grande romanzo, forse il suo capolavoro. Peccato che nessuno lo leggerà mai.

Matteo Bigarella