Non appena si fu inginocchiato, lo sportellino scorrevole del confessionale
si aprì alla sua sinistra.
Sentì un fruscio dell’abito talare: il prete si stava segnando.
Fece altrettanto, con la mano sinistra, a partire dal basso.
Poi attese in silenzio.
“Tutti hanno peccato e sono privi della gloria del Signore”, esordì il
sacerdote da dietro il piccolo graticcio. “In cosa hai peccato, figliolo?”.
Trascorsi diversi secondi, il giovane prelato batté le nocche sulla
finestrella ripetendo la domanda.
“E lei, in cosa ha peccato padre?”, latrò dal lato opposto una voce abietta,
impossibile da tradursi in parole.
Contrariato, don Alberto si avvicinò al graticcio sbirciandovi attraverso.
Il sangue gli si raggelò nelle vene.
L’informe, decrepita parodia di se stesso era seduta al di là del
confessionale, il volto segnato dalla dissolutezza.
Cominciò a sudare freddo. Il corpo scosso da fremiti violenti.
Aveva avuto come la sensazione di vedersi riflesso in uno specchio
deformante.
“Prima o poi tutti devono fare i conti con la propria coscienza. E
questa è la sua occasione!”, ringhiò la voce blasfema.
“Ha qualcosa da confessare, Padre, a proposito del suo interesse per i
bambini?”.
“Non so di cosa stia parlando. Io non ho nulla da confessare, né tantome...”.
La frase gli si mozzò in gola in un singulto.
Un nugolo di grossi mosconi, con una veemenza indescrivibile, debordò dalle
labbra smorte della cosa seduta al di là del confessionale.
L’orda famelica sciamò disordinatamente verso il graticcio e,
attraversatolo, si avventò con furia cieca sull’inguine del giovane prete.
Le urla di Don Alberto riecheggiarono immani, nello stretto anfratto, mentre
la massa brulicante gli lacerava, a piccoli morsi, il flaccido membro.
Attratta dall’odore, la torma di sarcophagi carnaria non aveva saputo
resistere al richiamo della carne.
Quello stesso richiamo irresistibile che aveva condannato, alla perdizione
eterna, l’anima del sacerdote.