Don-don-don. Le tre di notte. Maggie aprì gli occhi, era l’ora: Manina
andava a trovare Maggie ogni notte, alla stessa ora, da due anni. Prima il
cigolio dell’anta del vecchio armadio in legno, poi il ticchettare delle
dita sul pavimento: tic tac tic tac tic tic tac.
Le lenzuola tiravano un po’ verso i piedi del letto quando la piccola mano
monca cercava di salirvi e vi si appendeva, strisciava poi sopra i piedi di
Maggie e come una lumaca lasciava una lunga scia viscida di plasma e sangue
che Maggie ogni mattina doveva ripulire, prima che la mamma entrasse in
camera.
Manina risaliva sempre strisciando piano il corpo di Maggie, scendeva lungo
una spalla e la giovane sentiva la pressione discreta delle dita, fredde e
molli. Il tempo di un buffetto sulla guancia di Maggie e queste
abbandonavano poi il cuscino, tendevano un poco ancora il lenzuolo nella
discesa e ticchettando sul pavimento se ne andavano.
Con il passare del tempo Manina si faceva sempre più forte, e sempre
inferiore era il tempo che l’esserino putrido impiegava per completare la
sua visita notturna. Quella sera Manina stava invece immobile lì sul
cuscino.
Il moncherino aveva solo quattro dita, Maggie non sapeva che il mignolo
l’aveva amputato il macellaio che due anni prima aveva fatto a pezzi l’uomo
a cui l’arto era appartenuto: resti che prima di essere bruciati vennero
nascosti dal carnefice in un vecchio armadio, finito dopo poco tempo nella
camera della figlia.
Manina quella notte salì un ultima volta sul collo di Maggie, esitò a lungo,
poi la sete di vendetta prevalse sulla compassione e strinse con tutte le
sue forze, fino a toglierle la vita.
Nella vita mi occupo di tutt'altro: dopo il liceo linguistico e la laurea in Economia Internazionale ho cominciato a lavorare per una grande azienda in cui svolgo analisi di dati e sviluppo delle previsioni di vendita dei beni prodotti. Si può dire che la scrittura conservi la parte più giocosa e creativa di me!