Avevo
diciassette anni quando fratel Gerardo mi parlò della missione. L’epidemia
era scoppiata da un mese. I film che avevo visto sugli zombie avevano
previsto tutto, tranne che i morti sarebbero tornati in vita senza appetito.
Dov’è finta la loro rabbia, la loro voglia di carne umana?
Forse non hanno fame perché erano apatici anche da vivi. Triste scoprire che
neanche la morte reca sollievo. Fratel Gerardo dice che sono uno sciocco a
credere che sarebbe andata come in un horror di Romero. E io mi lascio dare
dello sciocco, perché qui ad Acquafredda non ho nessun altro al di fuori del
vecchio prete.
Gli amici, i parenti, chiudono gli occhi senza motivo e dopo un po’ li
riaprono come se prima di morire si fossero scordati di fare un’ultima
importante cosa. Perché a noi non tocca la stessa fine? Fratel Gerardo dice
che è la volontà di Dio. Dio ci ha scelto per dare la pace ai morti che non
riescono ad addormentarsi.
Ma pace significa falce. E falce significa teste che saltano come tappi di
sughero da una bottiglia di Champagne. Ogni tanto ho l’impulso di prenderne
uno e portarlo con me. Per studiarlo, per capirci qualcosa. Fratel Gerardo
dice che non c’è niente da capire.
Ormai ho trentadue anni e affilo la roncola una volta alla settimana.
Stamattina ho sentito dei colpi alla porta. Prima di aprire ho guardato
dalla finestra. Era fratel Gerardo. Sbatteva la testa contro l’uscio
camminando sul posto. Ho fatto quello che andava fatto. Mentre la testa del
prete saltava sullo zerbino ho capito che l’avrei fatta finita con un colpo
di pistola. Poi mi sono visto vagare in eterno per le campagne di
Acquafredda senza trovare nessuno che mi riconsegnasse alla morte e ho
cambiato idea. Che sciocco vero?