Diana
pensò che non avrebbe più speso i 7 euro e 80 per la corsa di taxi
dall’ufficio. Allungò distrattamente la banconota al tassista, chiuse la
portiera, e affrettò il passo, attenta a non scivolare sul selciato lucido
di pioggia. I tacchi avevano già tentato di ammazzarla più di una volta, e
sorrise a quell’immagine.
Il ticchettare rapido e regolare delle sue calzature non era però l’unico
rumore sull’acciottolato. Un secondo passo, più lento e pesante, cominciò a
echeggiare in lontananza.
Dapprima indistinguibile dalla pioggia, la cadenza si fece sempre più chiara
e angosciante.
Mentre ignorava l’avvicinarsi dello sconosciuto alle sue spalle, Diana
estrasse le mani di tasca e accostò i baveri del cappotto, rifugiandosi in
un gesto di autoprotezione.
Si rese conto di essere ancora lontana da casa, e giudicando la velocità con
la quale il malintenzionato le recuperava distanza, accelerare il passo non
sarebbe servito. Il rumore della scarpa da uomo s’interruppe per un attimo,
e Diana si voltò.
Il viso dell’inseguitore fu illuminato da un breve lampo dell’accendino, ma
fu subito coperto da uno sbuffo di fumo e vapore.
Nell’attimo di distrazione, il tacco destro, incastratosi tra due
sampietrini, si spezzò.
Diana perse per un momento l’equilibrio.
Saltellando, riuscì a sfilarsi con agilità entrambe le calzature.
Cominciò a correre con le scarpe in mano.
Il freddo del selciato e la paura si facevano strada sotto la pelle.
Lo sconosciuto allungò una mano per ghermirla alle spalle.
Diana si voltò di scatto, e impugnando la scarpa sinistra, vibrò un fendente
al collo dell’uomo con tutta la forza che aveva in corpo.
Mentre il tacco perforava la trachea e lacerava la giugulare, uno sbuffo di
vapore gli coprì nuovamente il volto.
La mano dell’uomo si spalancò per il dolore, e 2 euro e 20 rotolarono per la
discesa.