“Maledetta crisi, proprio questo lavoro dovevo trovare!”
Un posto da becchino. Per lui... così fifone e schifiltoso.
Guarda quelle due barelle: un bambino e una giovane donna. Madre e figlio,
sagome immobili ricucite, rattoppate dopo il terribile incidente che li ha
uccisi. E’ a disagio, meglio andarsene.
“Vuoi giocare con me?”
La vocina è stridula, cattiva, gracchiante, da gnomo malefico.
“E’ solo suggestione.” Pensa impaurito.
“Allora giochiamo?”
“Non infastidire il signore. Non vedi che deve andare via.”
La porta è sbarrata, non cede. Mario ha paura di voltarsi, di vedere
l’impensabile. Ma l’impensabile lo raggiunge, una piccola mano afferra la
sua: forte, gelata. Lo strattona rabbiosa.
“Voglio giocare! Voglio giocare!”
Batte i piedi a terra. Come farà con quella gamba tranciata di netto e
ricucita alla meglio? Mario guarda la piccola testa ciondolare dal collo
spezzato, gli occhi senza espressione. E’ paralizzato dall’orrore. Poi vede
la donna: si è seduta sulla barella, la mascella disarticolata che pende
spalancandole la bocca, la voce che le viene su, come un rutto, direttamente
dal diaframma.
“Smettila, è ora della merenda. Non hai fame?”
“Tanta, tanta, mammina!”
Il morso alla coscia arriva improvviso. Sente i dentini del bambino, aguzzi
come quelli di una tagliola, penetrargli nel muscolo, scattare, strappare.
Urla straziato, tampona la ferita con le mani, inorridisce al movimento
meccanico, ritmico delle mascelle che masticano la sua carne. Il bambino,
imbrattato di sangue, la ingoia con rumore di lavandino intasato.
Grida disperato. Questi non sono morsi, sono unghie feline che gli penetrano
nella carne, che lacerano furiose. La donna non può masticare, riduce a
brandelli il suo pasto.
Mario è un fascio di dolore, cade a terra: morsi più rapidi, unghie che
scavano in profondità, verso gli organi interni, scartano i muscoli,
spezzano le costole, arrivano al cuore...
“Mmm, come è buono, mammina!”