Come piume
nell’uragano le notizie, ignorando le smentite ufficiali, volarono
frenetiche in ogni angolo dei porti. Voci di navi frantumate e marinai
stritolati da una cosa soprannominata Glimmung, che nella lingua di uno dei
pochi sopravvissuti significa “montagna che cammina”. Pare abbia le
sembianze di un cumulo di nebbia sporca che sole e vento non riescono a
dissipare.
Dall’enorme mole prendono forma tentacoli duri come roccia e lunghi come
giganteschi serpenti di mare. Il suono fioco del suo lento sdrucciolare
sull’acqua mette i brividi alla radice dei capelli. Tremate se di notte
sulla superficie dell’oceano brulicano scie luminose: è la luce della Luna
che si riflette sul Glimmung.
- L’abbiamo staccato dal ponte della portacontainer che
si è avvicinata all’Isola. – Annuncia l’infermiere mentre alza il telo che
ricopre il cadavere. L’ufficiale medico vacilla di fronte al nauseabondo
ammasso di carne umana. Gli arti, senza dita, sono ridotti a un lungo
viluppo d’ossa, stoffa e muscoli. Il sangue sembra come incollato ai
brandelli di pelle e della divisa. Sopra agli occhi spappolati il cranio ha
più crepe di un terreno arido. Una macchia di materia grigia, appiccicata
sulla fronte, assomiglia a un grottesco parrucchino. Come se marinaio... sia
rimasto imprigionato in qualcosa che lo ha schiacciato, maciullato e insieme
compattato, impedendo alle viscere di schizzare fuori.
Strane briciole trasparenti sono incastrate in numerosi punti del cadavere.
Il medico ne esamina una.
Sentenzia, stranito: – Sembra la plastica delle bottiglie di acqua minerale.
-
Il rollio della nave ospedale aumenta di colpo, come se lo scafo fosse stato
raggiunto da una remota vibrazione. Nell’aria echeggia l’alito di un lontano
grido minaccioso.
L’infermiere rivolge lo sguardo oltre l’oblò, verso la sottile linea scura
che macchia l’orizzonte.
L’Isola dell’Immondizia, coacervo dei rifiuti ammassati dalle correnti al
centro dell’oceano.
Sospira. - L’Isola vive, e odia.