Esausta, si ricompose dopo la sfuriata. Sorrise nervosamente al piccolo Pietro sul divano e nascondendo le lacrime cominciò a lavare l’insalata, ad affettare la carne e pelare le patate. Non voleva più farsi trattare in quel modo, ora era finita. Mentre il trucco le colava dalle guance e la testa le pulsava ritmicamente, pizzicando una dose di sale grosso, spennellò la sottocoscia con abbondante olio, la farcì con spicchi d’aglio e spezie, pulendosi poi le mani sul grembiule già imbrattato. Tredici anni di matrimonio e tre tradimenti potevano bastare, ora la goccia aveva fatto traboccare il famoso vaso. Ripose pomodori e patate nella pirofila e le accompagnò alla costata insaporita da un filo d’olio: la ricetta preferita di Giancarlo, pensò divertita asciugandosi la fronte con il dorso della mano unta. Giancarlo, l’uomo dalle grandi promesse e intenzioni, l’uomo delle bugie e del doppio gioco. Infilò con cura il rosmarino nella carne e chiese a Pietro di smettere di piangere, di andare a lavarsi le mani e di venire a tavola.
Il
grasso aroma speziato uscì dal forno restituendo alla casa una parvenza di
intimità e calore, sensazione a lungo dimenticata dalla donna. Una volta
seduti affettò due abbondanti porzioni di arrosto e insalata e versò l’acqua
frizzante. “Ma papà quando torna, mamma?”. La donna, sentendo sulle spalle
la stanchezza della giornata, fissando attonita un punto immaginario davanti
a sé, non rispose.
“Mangia ora, e fai il bravo”.
Pietro mise il broncio, incrociando le braccia paffute. “Ma sai che la testa
non mi piace”.
La donna sorrise affettuosamente, accarezzò i capelli del figlio e fece
cambio di piatto con lui.
Poi prese coltello e forchetta, sfilò il rosmarino dall’occhio del marito e
cominciò a tagliare la guancia di Giancarlo, scoprendo sotto la carne
arrostita una fila di bianchi molari allineati.