Il corpo aggraziato, inguainato in un’aderente tuta di pelle viola, si
fletteva sinuoso, scosso da una ritmicità dolce e costante.
L’urna, disposta sull’altare di argilla di fronte alla donna, mostrava
preziose gemme incastonate sulla grezza superficie di metallo. Era un
oggetto molto antico: alcune fonti, ritenute molto attendibili dalla
sacerdotessa che le stava davanti, parlavano di un oggetto già appartenuto
ad un oscuro mago babilonese. Si vociferava anche sulle remote origini del
suo creatore, un orafo vissuto a Sodoma, dalla cui bottega erano usciti
numerosi oggetti preziosi tuttora usati da diversi negromanti sparsi nel
continente.
La donna allargò le gambe e alzò le braccia al cielo. I lunghi capelli
castani percorsi da un fremito irresistibile. Il volto, truccato con diversi
simboli iniziatici, lasciava intravedere i lineamenti di una giovane
affascinante. I seni prosperosi e le cosce ben tornite completavano la
bellezza di questa creatura selvaggia e feroce.
La donna urlò poche parole in una lingua arcaica e ormai pressochè
sconosciuta. I pochi in grado di interpretare quei versi, avrebbero udito
invocare “un dio oscuro a cui si chiedeva di pazientare ancora”.
L’ampia stanza riecheggiò di quelle urla, mentre la quasi totale oscurità
accentuava il senso drammatico di quella preghiera.
La donna si ricompose, raccolse delicatamente l’urna e la ripose in una
piccola nicchia ricavata nel piedistallo di un’enorme statua di pietra
situata dietro all’altare.
L’essere rappresentato dalla scultura aveva fattezze pressochè sconosciute
ai cittadini di Kamad, luogo dove la statua si trovava.
La giovane sacerdotessa uscì da una piccola porta ricavata nella parete
opposta a quella dove si trovava l’altare.
Peter Montalvo, modesto mercante di vestiti per schiavi, si aggirava sperso
per le vie del porto di Kamad. Era ormai sera e solo la luna, aiutata da
poche torce appese ai muri, combatteva contro l’oscurità ormai prossima.
Aveva udito molte voci che parlavano con oscuro terrore delle violenze e
delle misteriose sparizioni avvenute in quella zona.
D’altronde, il misero valore delle ricchezze che portava con sè, lo
rassicuravano dal rischio di eventuali rapine.
Inoltre doveva trovare la sperduta bottega di un mercante che gli aveva
promesso la fornitura di cinquanta tuniche ad un prezzo bassissimo.
Desistere dalla ricerca significava voltare le spalle a un comodo guadagno
sicuro.
Stava camminando da circa dieci minuti tra gli stretti vicoli adiacenti al
porto, molti dei quali senza uscita. Si era ripromesso di chiedere l’esatta
locazione del negozio che cercava al primo passante incontrato.
Continuò a percorrere il viottolo che aveva imboccato, sperando di
incrociare un passante presso il quale informarsi.
Arrivò alla fine del viottolo, e ciò che vide lo sorprese enormemente.
Un’enorme piazza delimitata da muri di granito alti circa tre metri. Il
pavimento era di un ambiguo color verdastro, che il mercante scambiò per
argilla colorata.
Al centro della piazza si stagliava un’enorme statua dalle forme inedite per
i suoi occhi: la base era composta da uno sgraziato corpo triangolare
rovesciato. Sulla base poggiavano tre corpi distinti: il primo raffigurava
una lucertola alata dalle molte zampe; il secondo rappresentava un numero
arabo (il 7) avvinghiato da robuste catene; il terzo ed ultimo mostrava un
piccolo cerchio circondato da quattro massicci esagoni.
Avvicinandosi lentamente alla statua il mercante individuò quattro figure
che danzavano ai piedi del monumento. Si trattava di quattro giovani donne
dai corpi provocanti.
Montalvo le classificò come prostitute ubriache appartenenti a qualche
bordello della città.
Si avvicinò ulteriormente alle danzatrici, che davano la schiena all’uomo
agitando selvaggiamente le loro lunghe chiome.
Richiamò la loro attenzione con un saluto. Una delle giovani si girò
avvicinandosi al mercante con aria accondiscendente. Era molto bella,
nonostante i lineamenti decisi e i strani segni dipinti sul volto.
La donna posò la mano destra sulla spalla del mercante. Prima che potesse
reagire quest’ultimo si accorse di avere la spalla fratturata.
Immediatamente l’uomo cercò di allontanarsi da quelle femmine impazzite.
Cercò di riattraversare la piazza per imboccare il viottolo dal quale era
arrivato. Dopo aver percorso qualche metro si accorse che la strana sostanza
che rivestiva il terreno divenne melmosa e impraticabile. Cercò
disperatamente di continuare la sua corsa, ma ben presto dovette arrestarsi
stremato. Si voltò verso la donna che lo aveva aggredito, cercando di capire
le sue intenzioni. Quest’ultima spiccò un salto notevole e con un calcio lo
colpì in pieno volto. Il mercante svenne assalito dal dolore.
Quando si risvegliò gettò uno sguardo sul nuovo ambiente che lo circondava.
Si trovava in un ampio locale poco illuminato. Un altare e un’enorme statua
posta alle sue spalle, identica a quella già vista sulla piazza, dominavano
la scena.
Il mercante era in piedi, ma si rese conto di essere completamente
immobilizzato: una di quelle sgualdrine doveva averlo drogato o qualcosa del
genere.
Improvvisamente udì alle sue spalle un rumore di passi. Si voltò, per quanto
il suo collo gli consentiva, e notò una donna castana vestita in una tuta di
pelle viola che camminava verso di lui. Portava con sè una robusta frusta e
un misterioso sacco di tela rosso.
“Ti chiedo pietà, donna. Chiunque tu sia.”
Prima di rispondere la sacerdotessa lasciò trapelare un sorriso di scherno.
“Non capitano molti intrusi nella piazza sacra dove tu sei arrivato questa
sera, e il nostro dio chiede un sacrificio da molto tempo. Io, come
sacerdotessa non posso sottrarmi al suo volere. Soffrirai molto misero
mercante, ma questo è il suo volere.”
Peter Montalvo capì di non avere altre speranze: presto le sue urla
avrebbero riempito le ampie volte del salone.