Il faro era stato abbandonato dopo che l’ultimo guardiano, il signor R.D. era stato trovato fulminato ai piedi dell’immensa scala a chiocciola. Nessuno osava più metterci piede, le storie che avvolgevano quel luogo erano numerose e ricche di sciagure raccapriccianti. I.G. amava ascoltarle, e quando qualcuno si rifiutava di raccontare, lei sorrideva e immaginava il malcapitato alle prese con qualche disgrazia. Era una donna curiosa, era sempre stata attratta dal passato e dalle storie, che fossero di fantasia o meno, poco importava, lei, su quelle storie, era solita inventarne delle altre. Si era trasferita da un mese, quel piccolo villaggio sulla costa era ciò che più si avvicinava ai ricordi della sua infanzia, alla sua isola. Aveva deciso di affittare una casetta appena fuori dal villaggio, amava star sola con i suoi pensieri, ascoltarli senza interferenze. La casa, una camera, un bagno, una cucina e un salotto con camino, aveva quel delizioso tocco inglese che lei amava. Ciò che la portò a dire –E’ mia- fu il vedere, dalla finestra della camera da letto, il faro, il faro delle disgrazie, come solitamente era chiamato. La sera, seduta vicino al camino, scriveva, si lasciava trasportare dalla sua fantasia e, parola dopo parola, portava alla luce le sue storie. Storie in cui lei era sempre presente, doveva viverle, doveva toccare con mano ogni azione, ogni pensiero, ogni persona. Per questo motivo era costretta a cambiare casa frequentemente. I suoi racconti nascevano per amore di qualcosa o qualcuno, poteva essere un oggetto o una persona, e lei scriveva. La fine delle sue storie era sempre di colore rosso, come il sangue. Un rosso che la rendeva viva, insieme a quel tepore che la riportava bambina.
Molto spesso si fermava a ricordare la sua infanzia, ogni volta gli occhi divenivano lucidi e sul suo viso s’intravedeva il sorriso di una bimba. Rammentò quando, in cerca di un luogo in cui fantasticare, aveva poco più di sei anni, s’imbatté in uno strano individuo, Monsieur, così le piaceva chiamarlo. Monsieur fu trovato con le mani nel barattolo della marmellata, ovvero, nel ventre di una povera contadina. Le sue mani erano rosse, rosse come le bacche che riempivano i cespugli circostanti. Vide I.G., e con la sua voce suadente cercò di non metterle paura, iniziò così a raccontare di come avesse trovato quella povera ragazza – Ha mangiato le bacche rosse, sono velenose, lo sai vero? lei fece un leggero cenno con il capo e si sedette accanto a lui. - Poverina, l’ho trovata qui, con un coltello in mano, voleva levare le bacche dalla pancia, e mi ha chiesto di aiutarla, ecco, le vedi qui? Vuoi aiutarmi ? Gli sorrise, e con la gioia negli occhi, immerse le piccole manine in quel caldo rosso, anche ora, quando ci ripensa, sente il calore sulle mani, il profumo del bosco e quella voce che racconta vecchie storie. I.G. ricordava il suo Monsieur ogni volta che le sue mani diventavano rosse, ogni volta che il suo coltello affondava in quelle carni molli, in quei ventri sfatti o tirati, poco importava. Ora, nell’osservare il faro aveva sentito di esser, finalmente, giunta a destinazione, non avrebbe più dovuto traslocare, nessuno avrebbe più fatto domande, ora c’era il faro a proteggerla, a vegliare su di lei. Una mattina decise di andare al villaggio, era curiosa di sapere quali e quante altre disgrazie erano accadute. Rimase al villaggio per tutta la giornata, giornata fruttuosa, aveva ascoltato storie su storie, osservato i volti, disgustati, di chi raccontava, e sentito quanto le persone dicevano sul faro delle disgrazie. Imputavano a lui ogni incidente, ogni sventura, sorrise I.G. nel rientrare a casa, aveva trovato il luogo dei suoi sogni. Fu con Rose che riprese a scrivere. Rose era il personaggio del racconto che stava scrivendo. Nonostante il nome facesse pensare a una donna, Rose era un uomo. Un amante del bello, un bello compreso da pochi, lui non amava inutili fronzoli e non sprecava parole se, chi aveva davanti, non sapeva ascoltare. Ascoltare, era questo che importava per I. G, sentiva che Rose doveva fare qualcosa. Fu così che gli mise in mano un punteruolo. Quanto sangue nel perforare i timpani, sangue e un dolore forte e lancinante, uno di quelli che porta alla pazzia. Rose non poteva fermarsi alle orecchie, doveva fermare loro anche la lingua, a che serve se le parole dette sono insignificanti? Usava sempre il punteruolo, perforava la lingua in più punti e poi, con un colpo secco, la staccava. Rimaneva poi a osservarli, agonizzanti, con sangue ovunque, ma lui, Rose, gli stava vicino e con un filo di voce, raccontava ciò che stava accadendo intorno a loro. I.G. sorrideva nel rileggere il suo racconto, era soddisfatta, e sentiva ancora, nelle mani, il freddo punteruolo. Sorrise nel pensare a Monsieur, a quella voce, a quel calore. Era sabato mattina, quando, dalla finestra della camera, vide diverse persone che andavano e venivano dal faro. Si vestì in tutta fretta e corse incontro ad alcuni uomini. – Che cosa accade, perché tanto chiasso? I due uomini, spaventati, dissero che il faro aveva fatto un'altra vittima- E’ maledetto quel luogo! urlarono. Le raccontarono ciò che avevano visto dentro il faro, L. riverso a terra, in una pozzanghera di sangue con lo sguardo verso il cielo, le orecchie piene di sangue e la lingua nella mano destra. Uno spettacolo da brivido che nessuno avrebbe dovuto vedere. Consigliarono a I.G. di andare via, quel luogo non avrebbe risparmiato nessuno, ma lei, stringendosi nel suo caldo scialle, sorrise loro e disse – Io sono a casa ora.