La sveglia di Mauro Scafati, bancario di 47 anni, suonò alle 7 e 45. Si alzò dal letto, e con la lena di un bradipo stanco, andò al bagno. Si rivolse allo specchio. Da qualche giorno teneva proprio una brutta cera. Sembrava solo un male stagionale. Qualcosa da scacciare dal corpo con una banale aspirina. Poi si osservò gli occhi: Aveva un’espressione stravolta che non riconosceva più. Era in quello stato dal suo ritorno dall’Africa. La banca lo aveva mandato a trattare la concessione di una somma di denaro alla tribù degli Hereko. Serviva allo sviluppo economico del loro villaggio. Scafati fece il doppio gioco, imponendogli tassi usurai e spacciando l’operazione ai media come attività di beneficenza. “La prima banca che concede ai poveri” avevano titolato i giornali finanziari. In visita al villaggio Hereko, Scafati aveva provato ripugno per quei primitivi ignudi che l’onoravano con stupide danze. Gli avevano poi presentato il vecchio sciamano, figura carismatica e guaritore del clan. Questi di scatto afferrò la mano di Scafati. I suoi pensieri vennero risucchiati in un vortice di luce che fluiva direttamente dalle dita del vecchio. Si senti pervadere dallo spirito atavico degli Hereko, mentre i fantasmi degli antichi guerrieri col volto dipinto di rosso lo trascinavano di forza in una danza selvaggia, al ritmo frenetico di mille tamburi tribali. Tutti gridavano come degli ossessi. Lo sciamano si era alzato in piedi e indossava una maschera di legno, da cui filtrava uno sguardo che non aveva niente di umano. Scafati si sentì trafitto dai denti acuminati della maschera rituale e cadde a terra semi svenuto. Lo sciamano gli cinse al collo un monile di pietre e ossa che aveva prelevato da un cesto ornato di teschi. Gli intimò di non separarsene mai.
Allontanatosi dal villaggio Scafati cercò di toglierselo, ma ogni volta che le dita vi si avvicinavano, avvertiva un profondo malessere che lo faceva desistere. Quella mattina in agenda c’era la presentazione del suo viaggio africano alle eminenze grigie della banca. Nella valigetta ventiquattrore Scafati ripose i documenti per la concessione del credito agli Hereko, che dovevano essere controfirmati dal direttore, una maschera indigena e, cosa che non riuscì a spiegarsi, il suo coltello da sub. Quando tutti gli astanti furono seduti, Scafati si stupì di andare a controllare che tutte le uscite fossero bloccate. La riunione cominciò con l'ossequio del direttore per il suo operato. Scafati a quel punto indossò la maschera tribale tra l’approvazione generale della sala, che trovò il gesto un interessante fuori programma folcloristico. Il direttore stava per apporre la firma ai documenti, quando un colpo di coltello gli mozzò di netto la mano. Questa cadde a terra ancora palpitante nell’atto di stringere una penna. Scafati si rivolse poi ai presenti che scannò uno a uno minuziosamente. La polizia lo trovò che masticava il cuore del direttore, alla maniera degli Hereko con i propri nemici sconfitti.