«C’è qualcuno?»
La tua voce. Preoccupata, nervosa, tesa. Ah, se solo sapessi! Certo che c’è
qualcuno, stupido. Adesso ti racconto la mia storia.
Fui la prima quando ero la numero 1. Ero piccola ma deliziosa. L’albergo era
appena nato, e io mi sentivo così fiera.
«Che cos’è, uno scherzo?»
No, non è uno scherzo. Inutile che guardi sotto il letto.
Tanto non puoi vedermi, questo lo sai. Eppure annaspi, cerchi, parli da
solo.
Che tenerezza.
Sai, fui la seconda quando ero la numero 2. Sì, lo ammetto, ero un po’
gelosa. Ma chi non lo sarebbe stata al mio posto?
So cosa penseresti se ti raccontassi di come la numero 1 prese fuoco. Ma non
sono cattiva, credimi.
«Chi c’è qui dentro? Chi siete?»
Stai quasi impazzendo, vero? Però non interrompermi sempre, dannazione.
Allora, dicevamo.
Fui la perfezione quando ero la numero 3. L’albergo era cresciuto nel
frattempo. E io non ero mai stata così bella e sognatrice.
Figurati che una volta mi innamorai di un cliente. Oh, le cotte giovanili.
Avresti dovuto vederlo: spalle larghe, occhi scuri e penetranti, voce
baritonale.
Lo avrei voluto tutto per me. Certo, poi venne quella sgualdrina dai capelli
rossi, e i due fecero cose indicibili sul mio letto matrimoniale. Ma non
ebbi il tempo di fargliela vedere, a quella.
Seppi solo che, nove mesi dopo, si contorceva su un lettino d’ospedale tra
gli spasmi della gestazione. Come faccio a saperlo? Scusa, ma sono domande
da fare?
Ma il bello deve ancora arrivare. Sta’ zitto un minuto, santo cielo.
Fui una principessa quando ero la numero 100 e, quando ero la 200,
organizzarono una festa tutta per me. Che soddisfazione! Palloncini
colorati, piano bar, decine d’invitati. Non sono mai stata così orgogliosa
di me stessa.
Certo, ci fu qualche incidente di percorso. Ma niente di grave, giuro.
Durante la festa un uomo rubò tutti gli asciugamani dal bagno e una vecchia,
per sbaglio, inciampò sulle tende e me le strappò in più punti.
La presero tutti a ridere. Era un giorno di festa, in fondo. Non ci rimasi
mica male, sai? Certo, va detto che l’uomo fece un capitombolo nella hall e
urtò la testa contro un marmo. Morì entro pochi minuti.
Che ne fu della vecchia? Ah, quasi dimenticavo. Si buttò dalla mia finestra
la mattina dopo. Alcuni dissero che fosse ubriaca, altri che aveva l’Alzheimer.
Mi fai quasi pena adesso. Ti sei messo a correre per la camera con
l’ombrello in mano, e quei riccioli rossicci che si muovono di qua e di là.
Povero piccolo. Se qualcuno ti vedesse, ti prenderebbe per pazzo.
Forse ti ho torturato abbastanza.
Mi dispiace che tu debba morire così. Ma dico io, non te ne sei accorto
quando sei entrato?
Dio, che botta! Hai cercato di buttare giù la porta. Ma si può essere così
ostinati? Non vedi che non si apre?
«Bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!»
Va bene. La smetto. Ma la prossima volta guarda bene dove alloggi. E se
all’inferno dovessi incontrare tua madre, dille che certe cose non si fanno
nelle camere d’albergo.
Quell’uomo doveva essere soltanto mio.