Il bambino? Sì, è
vero, c'è chi dice di averlo visto, con la testa infilata tra le sbarre
arrugginite del cancello, nelle giornate di pioggia invernali. Ha il volto
bianco, grandi occhi neri e sorride, con la bocca piena di sangue. A volte
il sorriso si deforma e si trasforma in una risata. Isterica e stridula che
riempie l'aria con un suono che arriva sin in città. Esagero? Proprio no! Lo
sanno tutti che parecchi curiosi che gironzolavano lassù sono scomparsi nel
nulla. In paese nessuno parla volentieri del podere sulla collina. Ha una
forma malsana. L’edificio principale è vecchio, con i mattoni chiazzati dal
tempo e dall’umidità e con i rami d’edera che se lo mangiano piano. Le
strutture che stanno attorno non sono normali. Piccole casupole e storti
bozzoli di muratura venuti su come tumori maligni. E aumentano ogni mese.
Chi li costruisce? Non si sa. Ma dopo ogni incidente, nella collina, il
giorno dopo cresce un nuovo pezzo di casa. "Sono tombe" mormorano nelle
osterie "Le genera il podere, come piccoli feti. Si nutre di uomini e li usa
per crescere lentamente, espandendosi come un cancro su tutta al collina.”
Le sembra una sciocchezza? E no, mi dia retta!
Guardi gli alberi del parco. Sembrano pini, ma sono deformi. Ritorti su se
stessi, con rami a cinque punte che assomigliano a mani aperte. Di notte.
Perché al mattino, le giuro, sembrano pugni chiusi.
Il forestiero fissò in silenzio la piccola collina avvolta di alberi.
"Cosa? Se voglio accompagnarla lassù?" Il vecchio rabbrividì "Non ci penso
neppure. Non di certo a questa ora, al tramonto. Non so chi l'abbia convinta
a comperare quel podere, ma dia retta a me, non lo faccia." fece una pausa e
abbassò la voce come se non volesse farsi sentire "Non è il primo, sa?"
sorrise stancamente "ma alla fine se ne vanno tutti".
Il vecchio si grattò la barba "A noi non piace molto l'idea che qualcuno
acquisti il podere. Si disturbano le creature che ci abitano."
Tutte favole? La storia è questa. Poi faccia pure, se ha coraggio."
Il vecchio decise che era abbastanza. Si girò e lasciò il forestiero solo
all'inizio della ripida stradina infangata. Avrà ben da pensarci, rifletté
soddisfatto, e alla fine si leverà dai piedi come tutti gli altri.
Lo straniero indugiò solo un attimo e poi si incamminò per la salita, verso
il podere. Arrivò che scendeva la sera, con le prime volute di nebbia che
sgorgavano dal terreno avvolgendosi attorno ai rovi. Si fermò davanti al
grande cancello arrugginito, aspettando.
Il bambino spuntò all'improvviso dal buio del parco. Bianco come la morte,
si muoveva come se scivolasse sull'erba. Con le piccole braccia si aggrappò
alle sbarre corrose fissandolo con occhi spalancati.
Il forestiero si tirò su il bavero della giacca e sorrise. Un sorriso ampio
che scoprì i canini aguzzi luccicanti di saliva. Quel posto gli piaceva
proprio. Pace, riservatezza, cibo in abbondanza e persino un buon clima.
Il giorno dopo avrebbe fatto portar su anche la sua bara.