Kawaii!

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2011 - edizione 3

Li trovammo in un negozio di alimentari saccheggiato ormai da tempo, con la saracinesca ritorta all'interno e gli scaffali rovesciati. La ragazza doveva esserci entrata in cerca di cibo.
Vista attraverso la visiera del casco, sembrava uno scheletro seduto contro il muro, con pochi pezzi di carne sanguinolenta attaccati alle ossa. Muoveva stancamente le mani sulla cosa che aveva sulle gambe, una massa gelatinosa grigiastra con peli radi e ritorti e bolle rosse e nere che si gonfiano e si sgonfiano.
Nella realtà, dovevano essere una ragazza allo stremo delle forze e un grazioso orsetto artificiale, l'ultimo ritrovato in fatto di graziosi animali artificiali da coccolare. Figura morbida e arrotondata, movimenti buffi, musetto simpatico. La perfezione assoluta di forma e comportamento, scientificamente studiato per incendiare i neuroni del che-carinoooo!!! attraverso vista e tatto.
Immaginate di dare un pupazzetto di Hello Kitty a una ragazzina di tredici anni, poi moltiplicate per mille.
- Sarà qui da almeno tre giorni - disse Maria.
Alzai le spalle. Non faceva differenza. Una volta preso in braccio l'orsetto Kawaii, era impossibile staccarsene. Vista e tatto. Neuroni in fiamme. Nemmeno per mangiare o bere.
- Che dici? Proviamo ad ammazzare solo l'orsetto, questa volta?
Scossi la testa. - Non ce la farebbe. - Togliete il pupazzetto alla ragazzina e bruciatelo davanti ai suoi occhi. Moltiplicate per mille. Shock emotivo. Perché farla soffrire, se tanto sarebbe finita comunque nello stesso modo?
- Pensi tu alla ragazza?
- D'accordo.

Maria fece un passo di lato e staccò la cannella del lanciafiamme dal fianco dello zaino. Vista attraverso la visiera elettronica, sembrava uno zombie in tenuta mimetica, stato di decomposizione avanzata e armamento completo. Nella realtà era una tipica ragazza sui venticinque, lineamenti regolari e fisico atletico. Ma la vedevo così poco senza visiera che il suo aspetto naturale mi appariva falso, quasi fosse quello l'illusione.
Spostai la levetta del mitra sul colpo singolo e lo puntai alla testa dello scheletro. - Pronta?
- Pronta.
Inquadrai il centro della fronte nel mirino. Feci fuoco.
Il teschio sbatté all'indietro contro il muro. Meno di un secondo dopo le fiamme avvolsero lo scheletro e la massa gelatinosa che teneva in braccio. Immaginai i delicati sensori dell'orsetto che prima di fondersi inviavano informazioni confuse al suo cervello elettronico, incapace di decidere sulla base di queste qual era la cosa più coccolosa da fare.
Maria spense il getto.
Riattaccò la cannella allo zaino e si girò per uscire. Ma io non mi ero mosso. Stavo ancora guardando il gruppo scultoreo in fiamme, una pietà del Michelangelo con una ragazza sfortunata come Madonna e un robot di alta tecnologia-del-carino come Cristo.
- Che c'è?
Alzai le spalle e indicai l'orsetto.
- Eh?
- Niente. Mi domandavo che aspetto aveva realmente.
Maria si voltò verso le fiamme, poi tornò a fissarmi. - Non lo vuoi sapere.
No, non lo volevo sapere.

Marco Migliori