Il petulare dei rintocchi di quel vecchio e rassicurante campanile sulle
sponde del lago le fece riprendere il contatto con la molle realtà. Si
risvegliò con la pigra lentezza della Domenica, da una parte pentendosi di
dover abbandonare le coperte, ma dall’altra sollevata e felice di separarsi
dall’insensato incubo di cui era stata vittima. Il piumone sprigionava il
dolciastro profumo della sua pelle, ancora accaldata da quel sonno
angoscioso. Seduta sul ciglio del letto, un raggio di sole, penetrando dalle
feritoie della tapparella, le scaldava le magre dite dei piedi... faticava a
ricordare il perché di quella sensazione bella e dolorosa, ma sapeva che la
notte era stata molto agitata...
“Forse non è stata una buona idea, la separazione... faccio sempre più fatica
a dormire”, rifletté guardando distrattamente il blister sul comodino.
Nella confusione del risveglio non aveva badato a quei due piccoli tagli
all’alluce, che invece nella luce asettica del neon del bagno divennero
troppo evidenti. Dove se li era procurati? Era quasi sicura che la sera
precedente non ci fossero.
Tornò in camera e sollevò il piumone.
Una piccola ma evidente macchia di sangue andava rapprendendosi proprio lì,
alla sinistra del letto, in mezzo alle pieghe del lenzuolo.
Per un attimo ebbe la sensazione di perdere l’equilibrio... tentò di
convincersi che le sue gambe fossero ancora mezze insonnolite, ma sapeva che
non era così. Cercò di focalizzare la sua attenzione, a fatica, tra i
postumi del sonnifero, e la scarsa lucidità del risveglio.
Una nenia risuonava nella sua mente...“fenar ulsensteufos rekezeek fenar
ulsensteufos”.
Corse al telefono, in preda ad un’angoscia che si faceva sempre più forte, e
senza sapere bene quale numero comporre.
Prima di poter afferrare la cornetta, però, l’ansia si fece orrore.
Si accorse della presenza di alcune schegge sparpagliate sul pavimento,
alcune delle quali macchiate del suo sangue. Appena oltre, un piccolo
Cristo, che non più tardi della sera prima era incollato a quei frammenti di
legno, ed appeso alla parete. Ora giaceva a terra, calpestato e deformato.
Possibile che avesse fracassato a calci il crocefisso?
“fenar ulsensteufos rekezeek fenar ulsensteufos”.
Nel tinello, i resti di un orrendo pasto...
Aggrappandosi agli ultimi scampoli di realtà, arrotolò compulsivamente la
tovaglia così da far piazza pulita del macabro scempio, ma la vista del
pentacolo che era scolpito sul tavolo le tolse nuovamente il fiato.
Sollevò la testa a cercare rifugio nella luce del mattino, che sempre più
irruente entrava dalle finestre socchiuse. Non le fu di nessun sollievo. Si
fece sempre più largo in lei la consapevolezza agghiacciante e spaventosa di
essere perduta.
Spalancò le persiane d’istinto, come se quella fosse l’ultima porta per
uscire dall’incubo. Tuttavia il riflesso delle onde del lago non fece altro
che mostrarle la verità.
Le sue paure si erano oramai stemperate nell’acqua dolce e trasparente.
Ad essa si abbandonò.