Cala il sipario;
la terra sul mio viso
violenta questa bocca dischiusa
è buio è freddo.
E’ morte
Isobel Gowdie.
I s o b e l G o w d i e, annotato in gotico la I e la G intorno hanno dei
rampicanti, la G poi è immensa: importante.
L’artigiano che l’ha realizzata deve avere lavorato tanto, credo ci vogliano
diversi giorni per un lavoro bello e perfetto come questo: mi viene da
pensare...
Dovreste leggere la frase, non posso crederci, hanno scelto questa!
“Sull’erbetta di un prato mi sorprese dormiente, la sua mano mi tolse la...”
Perdonatemi, ma ancora rido, non posso crederci, penso a quanti leggendola
saranno ingannati: chissà chi ha osato.
Sapete non so quante volte ho decantato quel brano e credetemi, ridereste
anche voi se solo, io, avessi voglia di recitarvelo: ora non mi va.
Ha un bel colore, le venature hanno qualcosa di brillante e quando i raggi
del sole le danno il buongiorno si vede un luccichio unico, come quando
stringendo forte gli occhi, riaprendoli vediamo delle stelline. È liscia.
Passo il dito, qui è leggermente ruvida e opaca, 12 dicembre 1812
– 12 dicembre 1836.
Buffo, perché mi guardate così? Non ve l’avevo detto? Ho perso la vita il
giorno stesso che mi è stata data. E’ bella la mia lapide vero?
Credetemi, non siete i soli ad esser stupiti, io ancora cerco di capire chi
mi ha voluto così bene da regalarmi una targa così pregiata da mettere sulla
“porta” della mia nuova casa.
Per quel che riguarda il come ci sono arrivata: l’ho capito. Vedo che
qualcuno pensa ancora alla frase, curiosi vero? Farò la brava, anche perché
qui da sola mi annoio e di certo non posso spostarmi, aspetto di sapere il
“chi”. Schiarisco un po’ la voce, e sono da voi.
“Sull’erbetta di un prato mi sorprese dormiente, la sua mano mi tolse la
veste svolazzante,
dai vasti calzoni tirò fuori il cazzo... e insomma, per tutto dire Coline me
l’ha infilato.
O voluttà! O colpi! Giusti numi! che gioia!
Pirro fu più contento quando vide divampare Troia?
Senza mai volere sottrarsi alle mie braccia
Lo vidi inturgidirsi, sfottere, sborrare.
Ma adesso questo Vitus, che con vigore estremo
Scopava e riscopava senza perdere un colpo,
oggi per sortilegio che non riesco a capire,
è più molle di quanto lo sia un materasso.”
Vedete, avreste riso anche voi se solo foste stati al mio posto! O forse no.
Ero un attrice, e questo è uno dei tanti brani che recito, o meglio
recitavo, in teatro.
Come tutti ho avuto dei genitori, ma alla loro morte l’unica cosa che
ereditai fu un libro, un libro che mio padre m’insegnò a leggere. Sapete,
l’ho letto per così tanti anni che potrei recitarvelo: “Il castello di
Otranto”. All’inizio c’era un sonetto che l’autore dedicò a Lady Mary, Lady...
Isobel, che dite suona bene?
Doveva essere una brava donna questa Lady Mary, la frase finale del sonetto
recitava così’ “... il vostro sorriso certo è la fama.”. Parlo tanto, vi
annoio forse?
Chiedo venia, questo è il secondo giorno che passo qui da sola e avere un
po’ di compagnia mi aiuta a passare il tempo. Non ho visto nessuno e non ho
fiori sulla porta della mia nuova casa.
In teatro ricevevo sempre dei fiori, dal mio camerino uscivano profumi
diversi, dalla rosa al più semplice fiore di campo. Ho iniziato a recitare
per caso. Dove vivevo, solo, poche persone avevano la fortuna di saper
leggere e scrivere: io ero tra queste. Dovendo badare a me stessa fin dalla
tenera età, per guadagnare qualcosa, durante il giorno mi mettevo per strada
a leggere l’unico mio avere, mentre la sera giravo per le locande e
recitavo, per lo più inventavo. Gli anni passavano e le mie conoscenze
crescevano, come cresceva il mio corpo. Avevo dei lunghi capelli rossi e
ricci, ereditati da mio padre, occhi verdi e pelle bianca.
I corsetti che iniziavo a portare mettevano in evidenza un seno un po’
abbondante e dei fianchi non certo stretti. La mia bravura e il mio aspetto
“sano” mi avevano aiutato a far strada, senza dimenticare la particolarità
delle cose che amavo recitare. Dalle locande ai grandi teatri dove, i
signori facevano a gara per arrivare a me. Arrivavo dalla strada, ma se si
ha un po’ di cervello, si riesce ad avere dignità, rispetto, io ero
rispettata e trattata da gran signora. Ho sempre gradito gli omaggi e i
numerosi biglietti d’invito che ricevevo ma mai ne ho accettato uno.
Guardavo quei signori, li studiavo e cercavo di capire se tra loro ci
sarebbe stato l’amore della mia vita. Erano diversi e di svariate età, ma
nessuno mi faceva battere il cuore.
Aspettate, arriva qualcuno!
Falso allarme, è per il mio vicino, Samuel Taylor Coleridge, è lui il mio
vicino? non posso crederci! Christabel, quante volte ho recitato questo suo
poemetto, che meraviglia!
Dove eravamo? Ah sì... vi parlavo del mio sogno: l’amore. Ricevevo regali
costosi che puntualmente facevo restituire al mittente, un’altra al mio
posto, probabilmente, li avrebbe tenuti, io no. Mi sarei sentita in debito,
avevo capito che non si regala niente per niente. Un giorno però, qualcosa
cambiò.
Quella sera recitai un brano tratto da Memoires d’un vieillard de vingt-cinq
ans, era divertente sapete?
Un aristocratico che racconta i suoi amori, le sue scoperte. Il brano in
questione iniziava così: “Cielo! Quanti splendori! Gambe fatte al tornio
messe in risalto da calze di seta rosa trattenute sopra il ginocchio da
nastri color del fuoco, più in alto, due colonne d’alabastro dalla linea
perfetta che fanno da supporto a due globi plasmati dalla mano stessa delle
Grazie... bla... bla... bla...” indossavo ciò che descrivevo e mi muovevo come la
protagonista, devo esser piaciuta davvero tanto perché in camerino trovai ad
attendermi dentro ad un cesto, due bellissime colombe bianche. Il biglietto
che spuntava diceva: Mi avete fatto sognare. Roderick Usher. Usher, avevo
già sentito questo nome, più tardi rammentai: era un famoso prestigiatore.
M’incuriosì, le colombe erano parte del suo lavoro e lui ne aveva fatto
omaggio a me, meritava almeno che lo ringraziassi di persona. Isobel e Usher
o meglio Isobel e Roderick: questo era il suo nome.
Non era un bell’uomo, ma aveva fascino, aveva un uso della parola e delle
mani unico; mi ammaliò. Solo quando si congedò notai che zoppicava. Il tempo
passava e tra me e lui nacque qualcosa di veramente importante. Io me ne
innamorai. Pendevo dalle sue labbra, recitare per me era diventato un
dialogo tra me e lui. Vi confido un segreto, quando stava con me le sue mani
sparivano molto spesso sotto le mie gonne, quando le portavo! Ops! Pensavate
fossi una casta e semplice ragazza? Semplice sì, ma casta non direi.
Sapete che qui ancora non si vede nessuno? Se non vi spiace io continuo a
raccontarvi di me. Usher era il mio centro ora, tutto ruotava intorno a lui:
per me. Isobel invece era il centro del momento: per lui.
Il tempo scorreva ed io diventavo una figura sempre più pesante per il
grande prestigiatore. Lui non amava legarsi, eccezion fatta per alcuni
giochetti che amava fare nell’intimità, lui amava la libertà. Più il tempo
passava più io diventavo scomoda. Per carità, con me era sempre perfetto, ma
io mi rendevo conto dello sforzo che faceva per “mandarmi giù”. Ogni tanto
gli facevo da cavia per i suoi numeri, era divertente.
Aveva ideato un nuovo trucco, carte che sparivano nel corpo di una donna.
Fermi là, so già a cosa pensate, ma non è in quel modo che le farà sparire,
sporcaccioni!
Mi spiegò che, avrebbe fatto in modo che le carte venissero assorbite dalla
pelle, aveva trovato un trucco incredibile per ingannare lo spettatore. Fu
così che mi prestai ancora come cavia.
Volle provarlo una sera, ricordo che avevamo appena finito di fare l’amore e
io ero nuda sul letto.
Disse che ero perfetta, senza abiti indosso il trucco sarebbe stato ancora
più bello. Prese le sue carte, e dopo un po’ di scena e di movimenti con le
mani, iniziò a posarmele sul corpo. Lentamente copriva ogni parte, terminato
il mazzo si mise a recitare come era solito fare, qualche mossa con le mani
e voilà!
Lentamente iniziò a girare le carte, una due tre, via via aumentava la
velocità, le carte erano tutte bianche, non esistevano più numeri simboli o
fanti: il corpo le aveva fatte sue. Ero felice il suo trucco era riuscito ed
era unico nel suo genere. Ricordo bene quel giorno, quella fu anche l’ultima
volta che facemmo l’amore.
I giorni successivi iniziai a stare male, sentivo bruciare ovunque e i
dolori accompagnavano oramai gran parte della mia giornata e della notte,
fino a quando un bel giorno non mi svegliai più.
Dissero che il mio cuore era debole e non aveva retto. io invece pensai
altro. Il grande Usher, Roderick Usher aveva trovato il modo di sbarazzarsi
di Isobel, mi avvelenò. Le carte che mise sul mio corpo erano disegnate con
una piccolissima parte d’inchiostro magico e con una gran parte di veleno
che è stato assorbito dalla mia pelle portandomi così alla morte. Ora sapete
anche voi perché io sono qui, io però vorrei capire chi mi ha amata così
tanto da regalarmi una dimora degna di una Lady. Ecco, vedo arrivare
qualcuno.
Non riesco a vedere il viso, un gran mazzo di fiori lo copre. Ma non posso
crederci, Roderick?
Ma sentitelo, fa pure finta di piangere, certo che mi piace la mia lapide,
ma avrei preferito mille volte stare dove stai tu e non qua sotto tra vermi
e odore di umido!!
Ma chi è quella che sta arrivando? Ti bacia? Ehi, ehiiiii attenta a non
attaccarti troppo a lui, altrimenti guarda dove finisci!
Che dite mi avrà sentita? Ma voi riuscite a sentire ciò che le sta dicendo?
Vanno via, sapete una cosa, io li seguo, chissà se la mia presenza può esser
notata, provo a soffiargli nell’orecchio. Sente, sente qualcosa, continua a
grattarsi dove il mio gelido respiro arriva!
Amici cari, vi ringrazio per la vostra piacevole compagnia, ma ora credo
proprio che dovrò congedarmi da voi, a quanto pare avrò parecchie cose da
fare ... al Grande Usher!