Si espandeva sull’acqua come un tumore. Catrame.
Denso, viscido, impregnava i banchi di alghe putride accatastate sulla riva.
Una caviglia sottile sprofondò nella poltiglia umidiccia.
Affondava, in quel denso pastone, ad ogni passo un po’ di più.
Charity non se ne curò.
Né di quello, né dei dentini che le mordevano la pelle.
C’erano i ratti nelle alghe. Lo diceva sempre la mamma.
I ratti che mangiano i bambini. Che rosicchiano le ossa e il pane, che
sbriciolano il femore e ingoiano l’omero.
Ma Charity non poteva fermarsi.
Arrancava con la vista annebbiata, il vestito bianco e i piedi nudi
affondati nel marciume, mentre alle sue spalle il delirio imperversava.
Vieni da noi Charity! Chiamava la bolgia.
Ma lei lo sapeva. Non avevano caramelle e balocchi, ma tagliole e veleno.
Povera piccola Charity.
Braccata, come un animale.
Correva senza sosta, come impazzita, accanto a un mare nero che fischiava
per lei.
Su per le rocce della scogliera, per poi infilarsi nelle strade strette
accompagnata dall’odore dolciastro dei fiori, ancora intrecciati fra i suoi
capelli scomposti.
C’era solo un posto dove potesse andare.
Bussò, graffiò, strillò.
Percosse il legno imputridito con i pugni stretti, affondò le unghie nelle
schegge.
Alla fine perse anche quelle, lasciandole incastonate nel portone muto.
E poi fu un istante. Il suo petto fremente venne squarciato dalle punte del
forcone.
Crack.
Sulla polvere fluì solo sangue stagnante.
La folla sospirò.
Perché in quella piccola cassa toracica non c’era un cuore.
I Bambini morti non devono alzarsi dalle bare.
E così raccolsero quel corpo infantile e lo lasciarono cadere dalla
scogliera, con ancora indosso il candido abito del funerale.
Volò giù e, con un ultimo sguardo vuoto, la bimba che non era Charity
affondò nelle acque torbide aspettando di diventare catrame.
Nata in una probabilmente afosa mattinata di Agosto del 1992, ha vissuto da allora nella periferia Romana, almeno fisicamente. A livello mentale ha fatto andirivieni tra un certo numero di dimensioni, ma questa è un'altra storia. In un oscuro pomeriggio piovoso alla scuola elementare, dopo aver dovuto rinunciare alla preparazione di alta gastronomia fangosa e alle ore di addestramento di lumache a causa del maltempo, si rese conto che mettendo in fila parole di senso compiuto si poteva avere l'accesso al meraviglioso mondo della scrittura. La decisione di trasferirsi lì in pianta stabile fu immediata. Da allora persevera nella sua malsana intenzione, e al momento, dopo un brillante trascorso nel mondo delle fanfiction sul sito EFP e a un buon piazzamento nella VI edizione del concorso "Parole in corsa", sfoga il suo impellente bisogno lavorando per il giornalino scolastico del Liceo Classico Anco Marzio e scribacchiando su qualsiasi superficie reperibile, banco compreso.