Stento a
riconoscerlo.
Occhi spenti, parole sconnesse. Ciocche di capelli bagnate da un innaturale
sudore che gli cola giù, fin sotto il viso.
E la camicia di forza. Cristo santo, nemmeno pensavo si usasse più.
Era il classico amico “rassicurante”, quello che
presentavi ai tuoi genitori e che quando dicevi che c'era lui tutti stavano
più tranquilli. Però nel nostro campo era un dannatissimo genio.
All'Università completava i lavori che iniziavo io in metà del tempo. Sì, lo
sfruttavo; ma soprattutto lo invidiavo. Aveva un futuro davanti, glielo
ripetevo sempre.
Per esempio sono sicuro che quell'ultimo studio gli avrebbe garantito i
successi che meritava. Anche a me, visto che formalmente lavoravamo in
coppia, benché in realtà firmassi solo le cartelle una volta che lui
ultimava le parti. Però l'idea sulla possibile esistenza di una tipologia di
radiazione luminosa ancora sconosciuta l'ho avuta io, e ciò bastava a
placarmi la coscienza quando passavo le notti nei locali notturni mentre lui
faticava al dipartimento.
Eppure quel martedì, uno come tanti altri, l'avevano trovato nel suo
laboratorio che urlava come un indemoniato. Dovettero bloccarlo in quattro
per evitare che sfasciasse tutto. Per fortuna erano settimane che non mi
facevo vedere, mi sono risparmiato quella pena.
Da allora è rimasto così.
Sono tornato nel dipartimento di Fisica, al secondo piano
ancora deserto. Il laboratorio è stato rimesso in ordine, anche se non tutto
è dove dovrebbe essere. Lo spettrometro laser è malconcio, ma forse il
grosso dei danni lo ha subito il telaio esterno.
Ecco infatti, basta avvitare l'ottica e si riattiva. Potrò continuare io la
ricerca, almeno questo glielo devo.
Accendo il visore, regolo i valori e vi appoggio l'occhio. Lo giro, in modo
da riprendere l'intera stanza.
E vedo quella cosa.
L'orrore dura un attimo, poi il pensiero si sgretola.
26 anni, nato a Genova, amante della letteratura fantastica.