Mai stato bravo a
parole. Men che meno con i giochi; di parole intendo. Però Sonia insisteva.
Forza, ha detto, guardandomi come fosse la cosa più importante della sua
vita. Occhi come mare tropicale e voce che nemmeno quella di un bambino. E
la bocca, di quelle che a sfiorarle ti tremano le gambe. Faccio per dire...
Vedrai che ci divertiamo, e io a guardarla, lasciandomi convincere. E così
siamo andati, una serata di quelle che non ti scordi.
Quattro tizi, i nomi neanche con la moviola: uno basso, capelli lunghi; poi
quello rossiccio, precipitato da qualche collina irlandese; la biondina
griffata e infine questa qui, la pittrice coi boccoli neri.
Proprio lei ha iniziato: Tocca a me, zombi!
MacIntosh, occhi sbarrati, subito a ondeggiare. Ha artigliato le tette della
modaiola addentandole un orecchio. Luna piena, ha biascicato, la
lingua dentro la tromba di Eustachio. Lei l’ha respinto e si è abbassata i
pantaloni sculettando. La riccia a disegnare. Intanto Sonia, al grido di
pipistrello svolazzava nuda alla finestra. E quell’altra disegnava.
Bene, devo ammetterlo. E scriveva dei mezzi geroglifici. Ho passato il turno
non so quante volte, incapace di trovare un filo logico in quel gioco,
ipnotizzato da quella pergamena, con le forme che prendevano vita man mano
che gli altri sparivano. La stanza piena di ombre, io a sudare e ansimare. E
quella disegnava.
Mentre le ombre s’infittivano, lei ha sventolato la pergamena e mi ha
sussurrato: lupo mannaro... Poi ha capito il suo errore, sentendomi
ululare...
“Ululare?”
“Gliel’ho detto maresciallo, non sono bravo con i giochi di parole.”
“E dov’è la mora, che ne hai fatto dei corpi?”
“Sono nella pergamena, non vede le creature? Aspetti, mi lasci finire il
disegno...”
“Oddio, nooooo!”
Non sono bravo a parole, ma a ululare e a disegnare sono un mostro.