Muovendomi nel
chiarore lunare, a tratti attenuato dalle nuvole, trovai il loculo indicato
nelle istruzioni. Il silenzio di quell'antico cimitero era rotto solo dal
sordo frusciare dei cipressi, mentre dal terreno si alzava una nebbia
leggera. Entrai nella cappella buia e posai la borsa dell'attrezzatura.
Dovevo aprire la bara portata quella mattina e asportare le ghiandole
surrenali e del midollo osseo, metterli nel refrigeratore e consegnare il
tutto al dottor Brown, che mi avrebbe pagato discretamente per quel
materiale. Prima o poi avrei fatto il salto e lavorato solo per le
industrie, allora sì che avrei guadagnato bene.
Con la torcia sulla testa, cominciai a svitare i bulloni del marmo.
Bastarono poche martellate per rompere il cemento sottostante. Tirare fuori
la bara e poggiarla a terra fu più difficile perché pesava, ma ero
abbastanza pratico. Mentre rimuovevo le viti del coperchio, con la coda
dell'occhio scorsi un'ombra muoversi fuori, nella nebbia. Sperai non
avessero assunto un custode, anche se sapevo tutto su quel cimitero.
Ecco il cadavere. In fretta, misi a nudo l'addome, da dove avrei prelevato
le surrenali. Ogni tanto mi fermavo e restavo in ascolto. Con lo scalpello
staccai un pezzo d'anca e aspirai un po' di midollo; stavo pensando se
prenderne ancora, quando qualcosa mi strinse una spalla. Mi voltai di scatto
col cuore che scoppiava e illuminai un volto umano, orrendo e marcio. Ero
talmente paralizzato che quella cosa riuscì a chinarsi, agguantarmi il viso
e mordermi una guancia. Urlando la spinsi via e mi precipitai fuori,
correndo all'impazzata verso l'uscita. Vidi altre di quelle creature che,
lentamente, si muovevano tra le lapidi, e per un attimo incrociai i loro
occhi spenti.
Ho deciso di farla finita con questo mestiere, sicuro. Anche perché credo
che il mio corpo stia cominciando a marcire e... Dio, che fame.