Il corpo del sindaco
giaceva sulla neve. Dalla gola squarciata continuava a colare il sangue.
Mentre emetteva gli ultimi respiri, gli tornarono in mente le immagini di
quella notte, durante la quale furono uccisi l’architetto, l’uomo che aveva
sempre ostacolato i suoi progetti, e sua moglie Marika. I due coniugi furono
legati a dei pali nella piazzetta principale del villaggio e bruciati vivi.
Il fuoco era stato appiccato da uno dei suoi complici, il reverendo Parisi,
più volte respinto da Marika. Prima di morire la donna aveva gridato ai suoi
assassini: “Voi non conoscete bene mio marito, e ve ne accorgerete,
maledetti!” Una frase che allora era sembrata sibillina.
Il sindaco reclinò il capo di lato. Ritto davanti a lui c’era lo scheletro
di quello che una volta era stato un uomo alto e robusto, l’architetto.
Indossava dei lembi di vestiti bruciati e strapazzati. Girò il cranio e
guardò in direzione di una via, dove giaceva il cadavere del reverendo,
colto di sorpresa mentre stava rientrando a casa. Anche lui aveva la gola
squarciata.
L’altro complice, il barbiere, era stato strangolato nella sua
abitazione. Aveva sentito bussare alla porta e appena aperto era stato
aggredito dallo scheletro. Ad ognuno dei suoi vecchi carnefici aveva
sussurrato nell’orecchio la sua identità.
Si pulì le ossa delle mani dal sangue, e prese la strada che conduceva al
fiume. Qui erano stati gettato il suo corpo e quello di sua moglie Marika.
Quando il suo corpo arso aveva ripreso un soffio di vita l’architetto si era
messo subito alla ricerca del cadavere della moglie, ma invano.
Si sentiva debole, e temeva che la fiamma del suo spirito si stesse
spegnendo. Reagì tuffandosi nelle acque gelide, sperando ancora di
abbracciare lo scheletro di Marika.