Il custode aveva appena lasciato il cimitero. Il sindaco Jozsef, sicuro non vi fosse più nessuno, uscì dal magazzino dove si era nascosto. Era deciso a vederci chiaro, ma in segreto, sulla diceria che voleva Zorka, morta recentemente in un incidente automobilistico, un vampiro. Il popolo chiedeva a gran voce la riesumazione del cadavere, memore di ciò che si diceva trent’anni prima di Sandor, nonno materno di Zorka, che morto da poco, avrebbe dissanguato tre ragazze del paese. Intimamente propenso a credere che Zorka fosse un vampiro, Jozsef raggiunse la tomba della donna, una tomba nella nuda terra. Con la vanga che aveva preso nel deposito degli attrezzi iniziò a scavare con vigore, e in breve riuscì a dissotterrare il coperchio della bara. Dette un’occhiata all’orologio che aveva al polso, e subito dopo al cielo. Il tramonto era imminente. Sempre con la vanga forzò il coperchio della bara, poi lo gettò di fianco alla tomba. Zorka era nella bara, composta nell’abito chiaro con cui era stata sepolta. Il suo viso era florido e roseo, per nulla intaccato dalla decomposizione.
Jozsef aveva sempre sentito dire che quelli
sono i segni inequivocabili che identificano il cadavere di un vampiro, e si
spaventò. Prese dal sacco di juta che si era portato da casa un martello e
un piolo di frassino. Subito, senza indecisioni, poggiò il piolo sul cuore
di Zorka, poi sollevò il martello per colpire. Nell’attimo, una stretta
poderosa gli bloccò il braccio destro.
<Sandor!> gridò voltandosi, faccia a faccia col vecchio vampiro.
L’essere demoniaco, dall’alto della sua imponente altezza, gli rivolse un
ghigno beffardo. Jozsef, terrorizzato, fece per fuggire, ma ciò che vide
furono i bianchi, aguzzi denti di Zorka che si stringevano sul suo collo, e,
reclinato il capo, il cielo ormai nero.