Il peso flaccido di
una giornata che si snocciola. La pausa pranzo. Vita sociale sponsorizzata
da vassoi e macchie sui tavoli. Mensa: odori e umanità, la testa in rivolta
verso pietanze che uccidono.
Credo nel controllo, negli sforzi: uniche forze ordinatrici del caos. Non
faccio colazione. Per pranzo una mela, ma Angela siede accanto a me.
Insiste: mangia i gamberetti. Ne mangio uno. Ingurgito un cadavere. Un morto
conduce alla morte.
La sete si impossessa di me: oggi ho bevuto solo 1 litro di acqua. Un
peccato di gola, un caffé: 2 calorie.
Poso la tazzina, cerco ancora da bere. Brava, soddisfa il tuo corpo con i
liquidi, depistalo con un falso senso di sazietà.
Corro in bagno. Devo vomitare. Il mio stomaco congiura contro di me.
Ingordo, non rende il gamberetto.
I bicchieri si susseguono, la lingua vischiosa. Aggrappata al palato
desertico. Gli occhi bruciano, la testa stretta in una morsa.
Esco. Mi aggiro per le strade con una inquietudine simile a una molesta
febbre. La sete mi opprime. Acqua per questo corpo grasso, acqua nel mio
mondo arido. Apro una bottiglietta mentre siedo su una panchina: osservo
l’epidermide essiccata. Qualcuno mi guarda impaurito e si allontana.
Accarezzo la fronte, distinguo la metamorfosi. La mano pingue è trasformata:
esamino il rilievo delle vene e il contorno delle dita scarne. Sottili e
eleganti immagini diafane di vita.
Le gambe mostrano l’esiguo senso della loro forza, sento la protuberanza
delle ossa del bacino e la valle sottile fino alle costole.
Ho raggiunto il mio obiettivo: una ragazza delicata, gracile, indifesa come
una piuma.
Questo il mio ultimo pensiero. Il cuore smette di battere: il corpo sublime
riposa sulla panchina. La testa reclinata: un gamberetto esce dalla bocca.
Si alza sulle gambe posteriori, si guarda intorno, e rapido scivola verso
l’ignoto.
Mi presento sono una giovane pseudo-scrittrice di 33 anni. L'età giusta per fare qualsiasi cosa. Nella vita mi dedico principalmente a altro, ma il piacere di scrivere brevi racconti rimane costantemente.