L'odore
nauseabondo era intollerabile, inondava il pianerottolo e l’intera scalinata
dello stabile, così i condomini avvisarono i carabinieri per quel tanfo
malsano proveniente dall’appartamento dei coniugi Lanzetti.
Suonarono ripetutamente al campanello, ma nessuno venne ad aprire.
Abbatterono la porta con un calcio all’altezza della serratura e furono
subito investiti da un fetore dolciastro, intenso. Quello più giovane dei
militi fu colto da conati di vomito impetuosi. Nell’entrata e lungo il
corridoio erano disseminate feci, urine, immondizia, mentre alcuni ratti
gozzovigliavano, in una pozza di sangue, con avanzi di cibo. Aprirono la
porta dietro a quella chiazza di sangue ed entrarono:
Lame di luce calda e spietata filtravano dalle persiane mostrando il letto
polveroso dove giaceva da mesi il corpo mummificato di Miriana, al suo
fianco il marito Ottavio, appena sveglio le prese la mano ormai scheletrita.
- Ho dovuto farlo Miriana. Non potevo permetterti di lasciarmi, perché io ti
amo – così dicendo Ottavio accostò il viso a quello del cadavere. Poi la
baciò su quella che una volta era una bocca giovane, sensuale, profumata,
ora solo due mascelle serrate in un ghigno ineluttabile.
- Ti avevo anche avvisata che non volevo che tu frequentassi la palestra di
quel tale, da tutti conosciuto come un inguaribile pomicione. Sei troppo
bella Miriana e non volevo che quel bullo ti sfiorasse neppure con un dito.
Ma basta parlare, amiamoci come facciamo tutte le notti. Sei mia, solo mia,
amore.
Il cadavere di Miriana tese le braccia verso Ottavio e spalancò la bocca in
modo smisurato:
- No, Ottavio. Tu, sei mio! – e gli strappò la calotta cranica con un morso,
mentre brandelli di cervello e schizzi di sangue imbrattavano le divise dei
carabinieri.